La fiducia, come era prevedibile, è passata: la Camera ha approvato la legge di stabilità con 350 sì, 196 no e un astenuto. Il governo delle «larghe intese» (ricorretto dopo la scissione del Pdl) quindi regge, ma non veleggia. A pesare resta sempre l’«effetto Renzi»: se è vero infatti che il segretario del Pd si è messo soprattutto a lavorare ai fianchi l’esecutivo sul fronte della legge elettorale (dove le sue personali «consultazioni» vengono viste come una minaccia dall’Ncd di Angelino Alfano e dai «governisti» del Pd), dall’altro lato è anche vero che il vento del «rottamatore» si è fatto sentire, eccome, anche sulla manovra.

Renzi ha fatto cambiare direzione al premier Enrico Letta su tre punti: la web tax, le slot machines e i sindaci. Sui primi due nodi l’influenza del primo cittadino è stata più evidente, con vere e proprie dichiarazioni di bocciatura, tranchant, delle due norme. Sull’Imu e le risorse mancanti, ovviamente la partita è stata molto più lunga, complessa e con svariati protagonisti, ma le pressioni provenienti dal Pd (che peraltro conta molti primi cittadini, tra cui lo stesso Renzi) hanno giocato un ruolo importante.

Sulla web tax, goffo tentativo di «imbrigliare» lo sviluppo del web (seppure ovviamente il nodo della tassazione su chi opera e fa profitti in Italia è da tenere in alta considerazione, da studiare e approfondire per misure magari meno estemporanee) si è già detto nei giorni scorsi: il retromarcia c’è stato. Dietro-front che ieri si è ripetuto anche sulla questione delle slot machines: un emendamento dell’Ncd, lo ricordiamo, aveva previsto riduzione di trasferimenti statali per i comuni che avessero contrastato la diffusione delle slot, per compensare il mancato gettito che ne sarebbe derivato.

Letta ieri ha ammesso l’errore compiuto dalla maggioranza e ha annunciato una modifica: «Ho condiviso quello che Renzi ha detto sulla norma sul gioco d’azzardo, è stato un errore e il governo ha intenzione di rimediare». Renzi aveva definito l’emendamento «una porcata». La norma è contenuta non nella legge di stabilità, ma nel decreto cosiddetto «salva-Roma», già approvato in Senato e adesso in viaggio verso la Camera. Angelo Rughetti, deputato Pd e relatore in commissione Bilancio alla Camera del decreto legge, ha spiegato che il Pd «presenterà un contro-emendamento per la correzione nelle prossime ore».

Fin qui la norma sulle slot, sicuramente di minor impatto politico rispetto alla rivolta dei sindaci, ma comunque simbolicamente significativa: va ricordato infatti che il settore delle slot è uno dei più «miracolati» dall’attuale esecutivo, basti ricordare la sanatoria (molto criticata, soprattuto dai Cinquestelle) di questo autunno. E anzi, dall’Anci è venuta ieri una proposta: istituire una «una tantum» da far pagare alle società (miliardarie) concessionarie delle licenze per le macchine dell’azzardo, per trovare una copertura alla «mini-Imu» che moltissimi italiani dovranno pagare a gennaio.

Ma appunto restando sui sindaci e sulle proteste dell’Anci (associazione dei Comuni), c’è da segnalare che per rispondere alla rivolta dei primi cittadini, il governo starebbe pensando di intervenire non sulla legge di stabilità (ormai blindata dalla fiducia, che verrà chiesta probabilmente anche al Senato la settimana prossima), ma con un decreto ad hoc che allarghi fino a 1,2-1,3 miliardi le detrazioni per le famiglie, dagli attuali 500 milioni già disponibili. L’annuncio è venuto dal ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio. «Ci sarà un altro provvedimento prima della fine dell’anno – ha spiegato Delrio – Un decreto in cui rivedremo la flessibilità delle aliquote per le detrazioni alle famiglie: 500 milioni già ci sono con la Legge di stabilità, ma si arriverebbe a 1,2-1,3 miliardi».

In pratica, si giocherebbe soprattutto sul meccanismo della Tasi: nuove detrazioni da un lato, ma anche una maggiore flessibilità per permettere ai sindaci di innalzare le aliquote laddove si può, oggi praticamente bloccare dal tetto massimo fissato dalla legge e insieme dalla «saturazione» degli aumenti massimi già raggiunta dall’Imu (in molte città, quest’ultima tassa è già al massimo e questo, allo stato attuale, non permetterebbe di agire sulla Tasi).

Proprio su questi punti, ieri Pietro Fassino, presidente dell’Anci, ha scritto una lettera a Enrico Letta, chiedendo un incontro: «La Iuc, così come è configurata – scrive – non consentirà ai Comuni di beneficiare delle risorse di cui hanno disposto nel 2013. Infatti la previsione dell’aliquota massima della Tasi del 2,5 per mille sulla prima casa, a fronte della precedente aliquota standard dell’Imu al 4 per mille (che molti Comuni avevano assestato al 5), dimezzerà il gettito sulla prima casa. Inoltre lo stanziamento di 500 milioni per le detrazioni compensa meno del 50% del valore delle detrazioni adottate nel regime precedente, che ammontava a più di 1 miliardo. Si determinerà così una doppia criticità: ai Comuni meno risorse e ai cittadini delle fasce deboli meno detrazioni».