«Quello che si stenta a capire, è che le elezioni non le ha vinte Renzi come persona, anche se carisma e stile hanno ovviamente contato. Ma la linea politica di Renzi e il messaggio che ha trasmesso. Il messaggio, non il medium. È da lì che bisogna partire. Anche per capire cos’è successo a Nord Est».

Stefano Allievi, 56 anni, professore associato di Sociologia a Scienze della Comunicazione, è una voce dissonante nell’Università di Padova ma anche uno dei rarissimi “renziani” del primo… minuto e autore di Chi ha ucciso il Pd (Mimesis 2013) spietata critica agli apparati dei politici di professione.

Evidenzia subito il tratto della “rivoluzione” delle urne nei confronti degli eredi di Ds e Margherita: «Renzi, non a caso, aveva voluto cominciare la sua prima campagna per le primarie proprio nel Nord Est. Mentre il Pd di queste zone si è sempre presentato come un perdente alla rincorsa – faticosa e impossibile – dell’elettorato altrui, accontentandosi di gestire quel poco di sottopotere che ti consente l’opposizione, con una forte sindrome e frustrazione minoritaria. Renzi ha messo la questione settentrionale, fiscale, di lavoro e d’impresa che qui si esprime al centro del suo messaggio. Non per tatticismo, come certo federalismo parolaio, ma per convinzione. Non poteva beneficiare di questa spinta Bersani che rappresentava la ‘ditta’: non credibile per l’elettorato. Adesso che al governo c’è Renzi, le forze mobilitate allora hanno avuto la possibilità di esprimersi. E l’elettorato del Nord Est si è allineato a quello nazionale

Un anno fa il flop di Bersani. Ora anche in Veneto i numeri schiudono la prospettiva di un Pd di governo: dal ’95 l’intero centrosinistra qui è minoritario. Come si gioca la partita del cambiamento?

Cambiando modello di partito, leadership, rituali, candidati. È impossibile pensare che a gestire il cambiamento siano i protagonisti del continuismo (visibili nelle filiere di trasmissione del potere, anche verso i giovani), e che l’era dell’innovazione passi per le persone che rappresentano la conservazione (innanzitutto di se stessi e del proprio gruppo). In Veneto è cambiato il vento, ma assai poco l’apparato: diventato quasi tutto renziano in seconda battuta, per necessità più che per convinzione, e in parte tuttora refrattario. Beneficia dell’effetto Renzi nazionale, ma non ne coglie la capacità programmatica e di proposta: non per disaccordo, ma perché non lo capisce, non è nel suo dna. Mentre l’idea di partito e il suo modo di funzionamento è ancora quello degli anni ’70: modello Dc (anche nel correntismo e nel collateralismo vecchio stile) laddove era questo l’imprinting dominante, come a Vicenza; modello Pci (nell’idea di egemonia e di controllo, e nel caso di scambio) laddove il modello egemone era questo (Padova e Venezia). Qui il ‘renzismo’ non è ancora decollato, nonostante un segretario regionale oggi renziano: più per necessità che per convinzione. Con il paradosso, e il concretissimo rischio, che proprio nel momento storico in cui il Pd potrebbe governare perché ha i numeri, non ci riesca perché non ha personale all’altezza. Per usare una metafora economica, siamo in una situazione pre-capitalistica, o da socialismo reale: la domanda ci sarebbe, è l’offerta che è carente.

In Friuli, prosegue l’«effetto Serracchiani» (47% a Udine). È il laboratorio politico che archivia Lega e berlusconismo?

Il Friuli è in un certo senso un caso a parte. C’è un effetto Serracchiani (anche qui, non solo personale, ma di proposta) parallelo all’effetto Renzi nazionale e in un certo senso nato prima. Non va dimenticato che ha vinto le Regionali nel momento più alto della crisi del Pd, nei giorni del caos e del suicidio politico dell’elezione del presidente della Repubblica.

Poi c’è lo storico sorpasso nel Trentino Alto Adige con 122.982 voti, 4 mila in più della Svp. È il “nuovo autonomismo” oltre il vecchio federalismo di Dellai?

È presto per dirlo. Certo è un dato clamoroso, tanto più quanto più inaspettato. E poco capito, a giudicare da quanto poco se ne sia parlato a livello nazionale. Anche qui mi sembra di vedere una domanda diffusa e un’offerta non ancora all’altezza. Se ci fosse, potrebbe incidere ancora di più. Anche il vecchio autonomismo stile Svp è logoro e stanco: meno europeo oggi di quanto lo fosse all’origine. E assai meno necessario. Su questo si gioca una scommessa non ancora compresa.