A una settimana dal voto l’America continua allibita a contemplare il colpo di scena che ha gettato ancora più scompiglio nelle presidenziali del 2016. L’annuncio del direttore Fbi James Comey sulle nuove email legate a Clinton, rischiano di stravolgere le già incerte dinamiche di queste elezioni.

È del tutto possibile – infatti – che possano portare un palazzinaro da reality tv – che fino a un anno fa era una nota di colore in calce ad una insolita campagna – a un passo dallo studio ovale.
Sebbene non vi siano ancora dati che riflettano del tutto l’effetto emailgate, Trump registra un netto miglioramento nei sondaggi. Nazionalmente i due candidati sono più o meno pari. Nelle analisi stato per stato di Nate Silver (quelle che contano nel sistema maggioritario che assegna i voti elettorali) Clinton avrebbe ancora il 78% di probabilità di prevalere contro il 22% di Trump.

Questo però in un anno in cui i sondaggi si sono rivelati spesso poco affidabili, in cui un numero molto maggiore di repubblicani rispetto ai democratici ha partecipato alle primarie e con ampie riserve di incertezza.

L’annuncio di Comey sui «possibili nuovi elementi» relativi alle email di Hillary è lungi da un avviso di garanzia e proprio per questo senza precedenti per un agenzia che mantiene sempre il massimo riserbo su indagini in corso. Fino a ieri non c’era nemmeno un mandato legale per esaminare l’archivio di posta elettronica rinvenuto sul computer di Huma Abedin, braccio destro di Hillary, nel corso di indagini sul «sexting» del suo ex marito Anthony Weiner. L’autorizzazione a procedere è stata concessa all’Fbi solo domenica sera e gli agenti avrebbero cominciato solo ora ad esaminare le mail (forse 350.000). Potrebbero passare settimane prima di avere un idea di che si tratti. In assenza di nuovi e concreti elementi che gli elettori possano valutare prima delle elezioni di martedì prossimo, rimane il danno politico provocato dalle dichiarazioni di Comey ed è su di lui che si accentra l’attenzione (e almeno una querela, sporta da Richard Painter, ex avvocato della Casa bianca).

In America dove uno statuto, lo Hatch Act, vieta esplicitamente ai membri dell’esecutivo di influenzare il processo politico, l’annuncio di un’indagine preliminare alla vigilia di una presidenziale ha provocato enorme scalpore. Ieri una dozzina di ex procuratori federali, un gruppo bi-partisan composto da esponenti repubblicani oltre che dall’ex ministro della giustizia di Obama, Eric Holder, hanno firmato una petizione dichiarandosi «perplessi e stupefatti» dell’iniziativa di Comey più affine alla «trama di un reality che al protocollo giudiziario».

Ancora più aspri sono stati i toni della lettera spedita direttamente a Comey in cui Harry Reid, capogruppo democratico del senato, accusa il direttore Fbi di aver «assai probabilmente» violato la legge Hatch. Reid, che nella lettera si dichiara «pentito di avere a suo tempo favorito» la nomina di Comey, va oltre e lo accusa di colpevole faziosità in quanto Comey stesso «sarebbe a conoscenza di elementi dannosi sui rapporti fra Trump e Putin» che invece tiene nascosti. Dal caso cominciano anche a trapelare i retroscena di una october surprise che rappresenta una ingerenza politica che non si vedeva dai tempi di J. Edgar Hoover. Intanto sembra che l’esistenza delle nuove mail sul computer di Weiner/Abedin fosse nota agli agenti federali già da settimane anche se non sono chiare le meccaniche che hanno portato alla rivelazione di Comey. Parte del ritardo sembra dovuto alla gestione parallela delle indagini su Hillary e su Weiner da parte di diverse giurisidizioni all’interno del bureau. Sembra anche che esistessero forti divergenze di opinione su come gestire le indagini fra agenti e i superiori.

Sempre più confermati infine i diverbi fra Fbi, ministero di giustizia (contrario a rendere note le nuove mail) e dipartimento di stato. Solo un paio di settimane fa nuovi documenti avevano rivelato forte attrito fa quest’ultimo dicastero ed Fbi in occasione delle prime indagini su emailgate. Le dinamiche che hanno infine portato alla clamorosa decisione di Comey sembrano quindi sufficienti ad alimentare anni di dietrologie. Dallo stesso Comey per ora c’è solo la giustificazione di una «precisazione dovuta» al congresso. Poco per uno scandalo pilotato che potrebbe bastare ad influire sui sottili margini nella manciata di stati che decideranno il prossimo presidente.