Effetto Domino è in un certo senso la versione tragica di The Laundremat, la commedia nera di Steven Soderbergh sui «Panama Papers», ovvero un racconto di rovinose speculazioni finanziarie, ambientato nel Nord Est, liberamente tratto dal romanzo di Romolo Bugaro e diretto con uno sguardo geometrico, o meglio architettonico, da Alessandro Rossetto. Senza dimenticare il suo imprinting di documentarista, il regista padovano racconta con la forza evocativa di immagini nitide e seducenti, una storia corale e global, affidando i personaggi a un team di attori da lui già collaudati in Piccola patria (Mirko Artuso, Diego Ribon, Nicoletta Maragno e Lucia Mascino), integrando il cast con Marco Paolini, in un ruolo sbalzato nella ferocia distaccata del capitalismo contemporaneo.
La vicenda potrebbe persino ispirare oggi degli imprenditori, tanto sensato e verosimile è il progetto di partenza: rilevare e ristrutturare alberghi e edifici dismessi per farne un paradiso superaccessoriato per gli anziani ricchi di tutto il mondo. Sfruttando quindi la veloce usura edilizia di un liberismo votato alla crescita infinita dei consumi, si guarda al dato certo di una popolazione del pianeta in rapido invecchiamento, che deve essere spinta verso un’idea di eterna giovinezza – una Shangri-La inquietante, destinata solo ai ricchi.

Un geometra sfigato e un impresario edile che con la sua famiglia ha costruito un solido business del mattone, avviano dunque nel Veneto della piccola impresa questo progetto visionario, chiamando a raccolta imprenditori «amici», trovando i finanziamenti e versando mazzette all’assessore di turno, interpretato con cecoviana ironia da Vasco Mirandola. Mentre iniziano le demolizioni – impressionante messa in scena dello spreco della cementificazione – a Hong Kong c’è però chi spia ogni mossa (un Marco Paolini cui manca solo il sigaro per sembrare un capitalista alla Grosz) e si appropria dell’idea. Ispirandosi alla capacità infinita della medusa di riprodurre alcune sue parti e di vivere in pratica in eterno, il nuovo business evoca una vecchiaia di continui rifacimenti; ma anche un capitalismo che perde i pezzi ma si rinnova ciclicamente. Mentre i lavori progrediscono, la banca – una burocratica quanto spietata Mascino – blocca i finanziamenti e con un disastroso effetto domino tutto precipita, inesorabilmente, passo dopo passo, impresa dopo impresa, travolgendo chi lavora, chi si sporca le mani.

Tradimenti e corruzione distruggono implacabilmente l’economia del microsistema, sgretolando famiglie e persone, portando al suicidio un imprenditore distrutto dalla finanza, come tanti nel Nordest, pedine operose di un domino materiale, mosso da fili invisibili, che pagano il prezzo più alto, mentre i profitti altrove continuano ad aumentare. Che sia il mattone, tradizionale caposaldo dell’idea dell’investimento sicuro in Italia, rende lo scenario ancora più inquietante, visualizzato com’è nelle spettacolari demolizioni (reali) di edifici che non rendono più come dovrebbero ma che sono a tutti gli effetti ancora vivi.
Rossetto mette in scena questo domino catastrofico, tenendo sullo sfondo, a distanza, il cervello globalizzato dell’operazione, per soffermarsi invece sull’impatto emotivo ed affettivo degli eventi su amici, figlie e mogli, potendo contare su un team affiatato di attori, che si è preparato lavorando sul testo come a teatro, chiuso in albergo a provare per un mese, prima delle riprese, e che ha partecipato attivamente alla costruzione dei personaggi.
Crudele ed impietoso quanto necessario, Effetto domino riecheggia tanti titoli di giornali e la quotidianità distopica del presente.