Vanno di moda i riferimenti entusiastici a Jeremy Corbyn, Bernie Sanders e Pedro Sánchez. Del primo si apprezzano il risultato elettorale e le correzioni sostanziose al blairismo del Labour Party. Il secondo avrebbe potuto fermare Donald Trump grazie al voto dei giovani e all’estraneità alle potenti lobbies che erano l’ombra di Hillary Clinton. Il terzo ha resuscitato socialisti spagnoli, vincendo il congresso del Psoe dopo il drammatico voto in Parlamento che aveva dato via libera al governo di destra di Mariano Rajoy. Sono tre casi esemplari di tre leader che hanno riaperto una dialettica a sinistra. Ma non bisogna fermarsi alla superificie. Quali sono i rapporti possibili tra le nuove sinistre europee – Podemos, Linke, Tsipras, ecc. – e le sinistre dei partiti storici?

L’indubbio stato comatoso del socialismo europeo merita attenzione, non fosse altro perché fa problema per tutte le componenti della sinistra. Sarebbe però un errore puntare solo sulle virtù delle nuove sinistre dando per spacciate e inutilizzabili le vecchie. Nel Labour, ad esempio, c’è sempre stata la sinistra di Tony Benn che oggi è quella di Corbyn.

Negli altri partiti il confronto è aperto, con spostamenti a sinistra. Il socialismo europeo inoltre resiste al governo a Stoccolma e Lisbona, è in ripresa a Londra, è sotto la tenda a ossigeno in Germania ingabbiato nel governo di unità nazionale che si può riprodurre anche dopo le elezioni di novembre, si è dissolto in Francia con l’avvento del ciclone Macron, in Spagna si dibatte tra le convulsioni del Psoe. Se non si vuole rispolverare la teoria del «socialfascismo» di staliniana memoria, occorre indagare sulle ragioni di queste difficoltà. La prolungata crisi economica ha reso impotenti le tradizionali bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e redistribuzione dei redditi. Il crollo del «socialismo reale» non è valso come antidoto, i riferimenti ai lavoratori salariati sono andati in frantumi lasciando posto a precarietà e mutabilità della condizione di lavoro, si è paralizzato il progetto di unità europea. Non c’è stato infine un ripensamento sulle identità e i valori possibili di un moderno socialismo nell’era del digitale. Il blairismo neoliberista come risposta si è rivelato un bluff. Il liberismo dominante dagli anni Ottanta (Reagan, Thatcher) ha piegato il proprio antagonista, facendogli introiettare molte delle sue ragioni (Blair, Schroeder). In Italia ad aggravare il quadro ci pensa poi l’anomalo Pd a gestione di Matteo Renzi. Mancano leader della statura di Willy Brandt, Olof Palme, Bruno Kreisky, François Mitterrand. Eppure – come per i casi di Corbyn, Sanders, Sánchez e potremmo aggiungere Martin Schulz – non ci sono solo macerie (ed è forse un errore semplificatorio perfino pensare, come ha fatto Tomaso Montanari introducendo l’assemblea del Brancaccio, che tutto «il Pd è ormai un pezzo di destra, una destra non sempre moderata»). Resta inoltre convincente la distinzione della tradizione socialdemocratica tra mercato e capitalismo: il primo esiste da tempo immemore, il secondo ha assunto forme specifiche – modi di produzione e distribuzione – nel corso di vari periodi storici. Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) ci viene consegnato il tema della mediazione tra Stato e mercato, oltre quello – sempre da aggiornare – di come si possano perseguire politiche keynesiane di ridistribuzione del reddito e di tendenziale nuova occupazione.

Il welfare è dunque la conquista sociale più avanzata del secolo scorso, mentre del «socialismo reale» sono rimaste ceneri. Fa discutere ancora l’ammonimento di Olof Palme in polemica con Mosca: «La pecora del capitalismo va continuamente tosata. Bisogna fare però attenzione a non ammazzarla». Nuove e vecchie sinistre sono destinate a gareggiare e a convivere in un rapporto di distinzione organizzativa e di competizione politica. Senza le une e senza le altre (o peggio, con le une contro le altre) il tema del «governo» resterà una chimera. In Germania – Spd, Linke, Verdi – e in Spagna – Podemos, Psoe – ci sono già maggioranze potenziali. Non nell’immediato, ma le uniche di sinistra di un domani possibile.