Il capitale e i suoi mercati sono sismografi che reagiscono al tragico flusso delle notizie provenienti dalla guerra in Ucraina. Al termine di una settimana al ribasso ieri le borse sono crollate di colpo dopo la diffusione della notizia di un assalto alla centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Sebbene la ricostruzione delle responsabilità sull’episodio sia diventato oggetto di un conflitto tra Russia e Ucraina (la centrale sarebbe stata «conquistata» dai russi il 28 febbraio e l’attacco sarebbe ucraino, versione opposta di questi ultimi) la notizia ieri mattina ha scatenato quello che in gergo è chiamato «panic selling», cioè il panico che spinge a vendere titoli in particolare delle banche e del settore auto.

L’onda ha travolto la borsa di Milano, ieri la peggiore in Europa. L’indice Ftse Mib ha registrato un meno -6,23%. Un tonfo clamoroso che si aggiunge a quelli già registrati dall’inizio della guerra russa contro l’Ucraina dieci giorni fa: da allora Piazza Affari ha perso il 13%, del suo valore. Dall’inizio di gennaio il 20%. Il calo è iniziato ben prima del conflitto armato. è l’esito del contraccolpo provocato dai lockdown del 2020 per rallentare la diffusione del Covid, delle riprese differenziate dei mercati in continenti diversi che hanno bloccato le catene lunghe dell’approvvigionamento delle merci e dall’aumento dei prezzi delle materie prime, del petrolio e del gas.

Proprio i futures del gas scambiati sul mercato di Amsterdam ieri hanno fatto registrare un altro aumento record: più 28,85% a 201,67 euro al MWh. Tra le materie prime è stato registrata un’impennata del palladio. Le sue quotazioni sono salite del 4,1%, a 2.889,70 dollari, il massimo dal luglio 2021. La Russia produce il 40% della produzione mondiale di questo metallo auto-catalizzatore che aveva già fatto registrare aumenti a causa delle strozzature negli approvvigionamenti delle materie prime. Dopo le sanzioni disposte contro il governo di Putin il valore è impazzito. È probabile che la situazione continuerà a peggiorare dato che Europa, Stati Uniti e Giappone potranno infliggere nuove sanzioni alla Russia a partire dalla prossima settimana, se non cesserà il massacro in Ucraina. Negli Usa e nel Regno Unito si punta stavolta a colpire i settori del gas e del petrolio russi e a evitare che le esportazioni bilancino i danni delle sanzioni inflitte finora.

Le sanzioni sul gas russo sono un problema delicatissimo per mezza Europa, e in particolare l’Italia. I tonfi registrati in borsa a Milano lo confermano. Nelle sfere impalpabili, eppure sensibili, della finanza sono in pochi a credere nella sicurezza mostrata da Draghi in parlamento durante questa settimana. Le scorte, l’aumento delle importazioni di gas dall’Algeria, ad esempio, e l’inutile e dannosa riapertura delle centrali a carbone potrebbero fare poco contro la chiusura dei rubinetti del gas. Fino ad ora i flussi dalla Russia sono continuati come e più di prima. Ma se Putin desse seguito alla minaccia recapitata ieri contro le nuove sanzioni in arrivo si presume che la prima azione potrebbe essere proprio quella di una ritorsione sul gas per destabilizzare i paesi europei e aprire un altro fronte nella guerra economica in corso.

I primi effetti di questa non scontata ritorsione russa potrebbero dare un’altra spallata al claudicante governo Draghi già messo sotto pressione dai partiti in campagna elettorale permanente. Questo è l’esito del paradosso di un «governo senza formula politica» che chiede di abiurare agli interessi dei blocchi sociali di riferimento in nome dell’imperativo del «Pnrr»: catasto, fisco, concorrenza o giustizia. Su questa armata brancaleone, già prima della guerra russa, si è abbattuto il secondo tempo della crisi generata dalla pandemia: l’aumento dell’inflazione e delle bollette di gas e luce che mangiano i salari e diminuiscono i consumi. Ieri l’Istat ha ridotto il rimbalzo del Pil dal 6,4 al 6,2% nel 2021 dopo il crollo dell’8,9% nel 2020.