Edward Snowden, l’ex consulente della Cia accusato di spionaggio da Washington ha chiesto asilo in Ecuador. Lo ha confermato – in Twitter e in conferenza stampa – il ministro degli Esteri ecuadoriano, Ricardo Patiño, attualmente in viaggio nel Vietnam. Si tratta di una questione che riguarda la “libertà di espressione”, ha dichiarato Patiño da Hanoi: confermando che il suo paese sta analizzando “con grande senso di responsabilità” la domanda del trentenne tecnico informatico, autore di rivelazioni esplosive sulla sorveglianza segreta nordamericana. Snowden – impiegato dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) alle Hawaii – ha consentito l’inchiesta giornalistica su Prism, il programma con cui Washington intercettava telefonate e posta elettronica privata di grandi aziende informatiche in diversi paesi del mondo. Il 20 maggio, il giovane tecnico – definito la “talpa” del Datagate – è poi fuggito a Hong Kong. I procuratori federali della Virginia hanno però spiccato un mandato di cattura internazionale per furto di proprietà del governo e spionaggio e gli hanno revocato il passaporto. Accuse da trent’anni di carcere. Le autorità Usa hanno ufficialmente chiesto a quelle di Hong Kong di arrestare il “traditore” e di consegnarglielo, in base a un trattato di estradizione (che però prevede eccezioni in caso di reati politici). Lo scorso fine settimana, l’avvocato di Snowden, Albert Ho, ha dichiarato ai giornalisti che la Cina (anch’essa spiata con Prism) ha chiesto al suo cliente di abbandonare Hong Kong, promettendogli una via di fuga sicura. Domenica, la “talpa” è così partita per Mosca. Gli Usa hanno nuovamente fatto fuoco e fiamme, minacciando Cina e Russia di ritorsioni. Intanto, si è parlato di altre possibilità di asilo: prima da parte di Finlandia o Venezuela (ma le autorità dei due paesi hanno smentito), poi di Quito. Depistati da falsi annunci e rivelazioni, i giornalisti hanno aspettato invano Snowder all’aeroporto che, da Mosca avrebbe dovuto condurlo in Ecuador, via Cuba. L’Avana è stata nuovamente accusata di offrire riparo “ai terroristi”. La giovane “talpa” dal viso pulito sembrava essersi volatilizzata.

Un caso diplomatico internazionale che ora riguarda quella parte dell’America latina non è più “cortile di casa” degli Usa. Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Nicaragua… i paesi che hanno fondato l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) nel 2004 e con orgoglio difendono la propria sovranità. Su di loro, anche il presidente Barack Obama ha poca presa. Sul portale “We The People” una petizione che chiede di assolvere Edward Snowden ha peraltro già raggiunto 1.244.611 firme. Se arriverà a 1.250.000 la Casa Bianca sarà costretta a dare una risposta, giacché il sito è stato creato dall’amministrazione Obama proprio per consentire ai cittadini un dialogo diretto con il governo. In questi giorni, i giornali hanno d’altronde anche ricordato le rivelazioni di un altro ben informato Cia, Russ Tice. L’analista ha a suo tempo raccontato come, nel 2004, Obama, allora candidato al Senato, fosse stato spiato insieme a tutto il suo entourage dall’intelligence di George W. Bush. E la stampa democratica statunitense ha pizzicato il presidente per aver disatteso le promesse “di legalità e trasparenza” pronunciate dopo la sua elezione.

E comunque, un altro caso Julian Assange. Cofondatore del sito WikiLeaks, Assange aveva messo in crisi la diplomazia di Washington pubblicando cablogrammi riservati. Poi era riuscito a trovare rifugio nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove da un anno risiede. Quito ha accolto la sua richiesta di asilo e ora lo staff di Assange spera che possa fare lo stesso anche con la “talpa” del Datagate. “Snowder è uno di noi”, ha scritto WikiLeaks, offrendo aiuto legale e concreto all’ex tecnico informatico della Cia. “Secondo WikiLeaks, Snowden ha ricevuto asilo politico dal governo dell’Ecuador”, ha dichiarato ieri Assange e ha aggiunto “sappiamo dove si trova, è in un posto sicuro, ma non possiamo rivelare il nome del paese”.

Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha confermato in Twitter le parole del suo ministro degli Esteri. Il giorno prima, aveva risposto alle proteste di Washington sull’asilo concesso al cofondatore di WikiLeaks: “Assange è un esempio della protervia e della prepotenza di certi paesi, noi gli abbiamo concesso asilo”, aveva detto. Quindi, aveva rimandato al mittente le ingerenze Usa in merito alla nuova legge sulla comunicazione, promulgata da Quito, e aveva criticato il rapporto annuale dell’Ong Freedom House che ha definito il suo “un paese parzialmente libero”. Il governo Usa – aveva affermato Correa – “farebbe meglio a spiegare come si sta comportando con il soldato Bradley Manning o con il giovane twitero, condannato a un anno di carcere per una minaccia a Obama. Se dovessimo reagire con la galera a tutte le cose che ci dicono in rete… E poi pretendono di insegnare al mondo la libertà di espressione”. Correa, rieletto a grande maggioranza a febbraio, aveva poi espresso “una forte preoccupazione per l’attività di spionaggio nei confronti dei giornalisti e dei mezzi di comunicazione, per i prigionieri di Guantánamo, da 11 anni senza processo. Anziché occuparsi di noi – aveva concluso – si preoccupino degli attentati ai Diritti umani che commettono ogni giorno, di quell’attentato al Diritto internazionale interamericano costituito dal bloqueo criminale alla nostra cara Cuba. Che facciano attenzione: l’America latina del XXI secolo, orgogliosa e sovrana, non è il cortile di casa di nessuno”.