I tempi moderni sono tempi strani; anche chi vi è immerso, chi ci è nato tende a perdere la bussola, a lasciarsi travolgere. I tempi moderni solitamente non hanno tempo per pensare: è da questo presupposto che nasce Smarrita l’anima? (Mimesis Impronte, pp. 184, euro 16), libro di Paolo Perticali che riunisce nove saggi, ognuno con il pensiero di un autore diverso, la cui filosofia viene interpretata alla luce della realtà di oggi.

Il messaggio che accomuna i diversi saggi è quello di ricordare all’uomo la politica della verticalità, della fatica e della concentrazione mentale. Ogni autore, infatti, mette in luce qualcosa che l’uomo moderno ha dimenticato, gli argomenti sono i più diversi e sono tutti connessi al vivere sociale. Si parte dal «pensiero a termine» di Taubes, secondo cui l’individuo dovrebbe ricordarsi della finitudine di ogni sovranità, ogni potere e tempo, per riuscire a guardare oltre i propri confini temporali. Altri interessanti contributi sono quello di Paul Rabbow (che auspica un ritorno della Paideia greca e agli esercizi spirituali antichi, che formano la caratura morale del fanciullo) e quello di Ivan Illich (che, invece, si concentra sulla secolarizzazione del nostro tempo e denuncia un cristianesimo guasto e falsato).

Tuttavia l’intervento più interessante è anche quello più breve. Riprendendo Gilles Deleuze, Perticari ricorda come il punto di massima elevazione della filosofia, lo zenit della meditazione, altro non è se non un ritorno alle origini e al pensiero del bambino. La spontaneità delle domande del bambino è autentica perché non ancora inquadrata in strutture di controllo sociale. Seguendo questo punto di vista, il filosofo dovrebbe evadere dai consueti modi del pensiero per arrivare, attraverso l’elevazione, a qualcosa di nuovo e inedito. La critica mossa alla società attuale è, invece, quella di dimenticarsi dei bambini, perché la loro imprevedibilità non li rende adatti agli schemi moderni. L’effetto interessante è che Perticari riprende nella forma ciò che scrive, la brevità e la spontaneità di scrittura del sesto saggio lo fanno emergere dal resto degli interventi.

Eccezion fatta per la tematica del bambino, il libro non è di certo di facile lettura, spesso assume il difetto tipico della filosofia, si presenta cioè volatile, e per il lettore non è semplice seguire il filo del discorso e divincolarsi nella matassa di pensieri e collegamenti fatti dall’autore. In ciò non aiuta la cura editoriale; non è difficile imbattersi in refusi e sviste che possono, in alcuni casi, rendere davvero difficile la comprensione del testo. Per quanto riguarda l’aspetto contenutistico, il libro si presenta coerente nelle intenzioni, i saggi seguono un filo rosso che li accomuna e il mosaico che emerge è composito ma ben definito.

Tuttavia, lo scopo inizialmente dichiarato dall’autore era quello di connettere il pensiero filosofico al pensiero politico e sociale, per dare un’applicabilità alle teorie illustrate. Questo collegamento risulta invece sempre più vago, e la modernità, più che essere analizzata, viene soltanto messa a confronto, per altro in maniera poco approfondita, con i modelli ideali presentati di volta in volta. Ciò rende il libro un complesso e ben assortito discorso sulla verticalità filosofica, ma sicuramente non una guida pratica a un comportamento in grado di contrastare gli elementi malati della modernità (come invece auspicava l’autore). Tanto più che spesso, nello sforzo di fare denuncia, viene tralasciata la parte fondamentale, ovvero quella del pensiero del filosofo. Quest’errore è lampante soprattutto nel saggio su Don Milani, la tesi fondamentale è che è necessaria una rilettura di quest’autore per i valori attuali che propone, ma, fino alla fine della trattazione, non vi è nemmeno un minimo accenno al contenuto di tali valori.

Per riassumere il libro in una parola, basterebbe usare il termine «filosofeggiante». Una lettura impegnativa ma ottima se ci si vuole astrarre dalla realtà perdendosi in teorie ideali; tuttavia l’autore ha mirato troppo alto quando, nella bandella, il libro viene definito «un’educazione ascetica nell’era della globalizzazione».