Per l’apertura, stasera, hanno scelto il nuovo film di Marco Bellocchio, Fai bei sogni, è stato un colpo di fulmine, un amore a prima vista. Del resto è questa l’unica «regola del gioco» per Edouard Waintrop, direttore artistico della Quinzaine des Realisateurs, la sezione nata dal Sessantotto degli autori francesi, che col suo arrivo cinque anni fa, ha ritrovato energia, capacità di mescolare le spinte più vitali degli immaginari e un equilibrio prezioso tra registi consolidati e giovani scoperte. La selezione del 2015 è stata il vero evento del festival, a cominciare dalla presenza di Le mille e una notte di Miguel Gomes, e poi i film di Garrel, Desplechin (che Fremaux non aveva preso in concorso, scelta molto criticata dai media nazionali tanto che quest’anno il regista è in giuria), Faucon (Fatima), Nabil Ayouche(Much loved), Mustang che è stato candidato per la Francia all’Oscar. Un successo ma anche una sfida per i selezionatori rispetto alla nuova edizione. Waintrop, critico, programmatore di una sala a Ginevra dove vive, ride al telefono. La voce non lascia avvertire alcun patema, anzi, di questa selezione è molto felice: «Ci saranno film per tutti. Abbiamo cercato di comporre un’immagine del cinema contemporaneo frammentaria ma il più completa possibile, all’interno della quale trovano spazio proposte molto diverse, dai film di genere ai documentari».

In che modo funzionano oggi le scelte di una sezione come la Quinzaine? Il festival di Cannes è considerato il più prestigioso del mondo ma quanto poi nelle decisioni di produttori e registi pesa il rapporto con la selezione ufficiale, concorso in testa? 

Lo scorso anno la decisione di Miguel Gomes di presentare Le mille e una notte da noi in polemica con la selezione ufficiale, che non l’aveva preso in concorso, è stata determinante. E lo stesso è stato per i film di Garrel e Desplechin. Questo non significa però che noi prendiamo tutti i film che loro rifiutano. Valutiamo molte proposte ma ciò che determina le nostre decisioni è molto semplice: prendiamo i film che ci piacciono davvero, che ci hanno toccato, che esprimono un cinema vivo.

In apertura c’è il nuovo film di Marco Bellocchio, che tutti davano per certo in competizione… 

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Avevo molto amato Fai bei sogni quando l’ho visto, non so cosa sia successo con la selezione ufficiale ma appena ho saputo che non era in concorso gli ho proposto l’apertura. Bellocchio è un grande autore e questo film è magnifico, pieno di umorismo e di emozioni. Mi piace pensare alla Quinzaine come uno spazio in cui si incontrano i classici, ma che come Bellocchio hanno quella formidabile capacità di rinnovarsi a ogni film, e autori molto giovani.

La Quinzaine quest’anno è anche la sezione con più film italiani, l’assenza dell’Italia dal concorso è stata oggetto di molti malumori da noi.

Su quest’ultimo punto non saprei cosa dire, io ho visto dei buoni film di autori che seguo da tempo. Di Claudio Giovannesi mi aveva davvero sorpreso Alí ha gli occhi azzurri, sapevo che stava lavorando a Fiore e quando l’ho visto mi ha conquistato: è formidabile, ha un soggetto forte ed è molto politico. Anche Virzí è un regista che conosco da anni, di La pazza gioia mi piace la capacità di accostare l’omaggio al cinema popolare italiano, a un regista come Monicelli, a una ispirazione molto diversa come possono essere i film di Antonioni. È una tendenza che vedo anche nella generosità del film di Bellocchio. Però non avevamo come progetto iniziale selezionare tre film italiani; è successo, è il risultato del nostro modo di lavorare.

Nella selezione ci sono anche due documentari, un «genere» che a Cannes è molto meno valorizzato rispetto altri festival, penso alla Berlinale o anche alla Mostra di Venezia — in entrambe ha vinto Gianfranco Rosi, con «Fuocammare» e «Sacro GRA».

È vero, non c’erano documentari nella sezione prima ma anche per questi titoli vale lo stesso principio, li abbiamo amati. Poi volevamo aprire al documentario, abbiamo cercato per mesi qualcosa che ci convincesse e all’improvviso sono arrivati questi due film. L’equilibrio in una selezione si crea nonostante noi, anche se forse non ce ne è tanto con tre titoli italiani o diversi film cileni (Neruda di Pablo Larrain, Poesia sin fin di Alejandro Jodorowski). Il film di Laura Poitras, Risk, ci dice cosa è divenuto il mondo dei media e come la rete ha mutato ogni relazione umana. Les vies de Therese di Sebastien Lifshitz è invece il ritratto di una donna morente concentrato in 55 minuti formidabili.

Se dovesse riassumere in una frase la scommessa della selezione 2016?

Ogni volta ci impegniamo a creare una relazione tra ciò che cerchiamo e i film che abbiamo scelto. Vedremo se questa volta ci siamo riusciti.