Hanno appena chiuso i battenti a Milano l’esordiente Tempo di Libri (70mila visitatori malgrado la coincidenza con il ponte del 25 aprile), e la trentesima edizione del Salone di Torino (126mila biglietti venduti nel 2016 e quest’anno 38mila in più).

Ma perché due fiere dell’editoria, in un Paese dove i non-lettori, cioè quelli che non leggono neanche un libro l’anno, secondo l’Associazione Italiana Editori sfiorano il 60% (il doppio che in Francia, per non parlare della Cina dove secondo il rapporto Nielsen la crescita è +30%) e dove il mercato librario è cronicamente in crisi?

In effetti, dopo anni di flessioni, e dopo il timido aumento del 2015 (+0,7%), il mercato del libro è tornato a crescere (+2,3% nel primo semestre 2016, con +1,6 per il cartaceo): un aumento, però, calcolato a valore e non a volume, al quale si affianca il dato che vede i lettori (cresciuti di un punto nel 2015), calare del 3,1%, passando da 24 a 23,3 mln.

In controntendenza, solo gli estremi del campione: aumentano i lettori da 6 a 16 anni e gli over 60 (questi ultimi +10% negli ultimi 7 anni), con una netta prevalenza delle donne, ma il numero dei lettori compresi fra i 25 e i 45 è semplicemente crollato: -25%.

La risposta a queste incongruenze potrebbe nascondersi all’interno delle strategie stesse di marketing messe in atto da quel pugno di gruppi editoriali che controlla l’80% del mercato e che, inseguendo i fatturati, tende – come la tv – ad abbassare il livello del prodotto piuttosto che cercare di elevare quello dei lettori.

Le statistiche ci dicono che il numero dei cosiddetti lettori forti (quelli che hanno con il libro un rapporto più strutturato e che possedendo una propria capacità critica non abboccano alle strategie di marketing più effimere), resiste all’erosione del tempo e resta sostanzialmente stabile (intorno ai tre milioni).

E infatti l’attenzione degli editori si sposta sempre più sui lettori deboli. Quelli cioè che appaiono più vulnerabili alle manipolazioni della promozione e alle mode e che, complici le lacune della formazione scolastica, non possiedono una reale ed autonoma capacità critica. Capacità che dovrebbe essere alla base di tutto, dato che, a catalogo, sul mercato italiano sono virtualmente disponibili un milione di titoli.

Emblematico è il caso della narrativa: dal 1980 ad oggi, le opere di narrativa pubblicate in Italia (su un totale di oltre 66.000 titoli, cioè 200 novità al giorno!) sono passate da 1.000, a 18.000. Evidentemente, immaginare che in Italia vi sia un simile numero di romanzieri è assurdo, e infatti la spiegazione del fenomeno va ricercata in una piccola mutazione genetica realizzata dagli editori nei loro laboratori di marketing. Il libro di nuova generazione, non si sostanzia più in un’idea, ma in una trovata: proprio come i format televisivi. I contenuti, in questo mercato psichedelico, frenetico, puerile (e dunque capriccioso), dove tutto dev’essere spicciolo e svelto, sono zavorra.

Ma la colpa non è degli editori. Il peccato originale sta a monte: perché il libro è un prodotto d’élite, ma a basso costo. In pratica, un nonsenso commerciale.

Abbiamo sottolineato la rapidità vertiginosa con cui il mondo editoriale evolve (o involve), ed è proprio sulla parola tempo che si sofferma Lara Giorcelli, editor di narrativa della Sperling & Kupfer: «I libri hanno i giorni contati sugli scaffali, e il susseguirsi incessante di novità è causa di un inevitabile cannibalismo. Nella società del qui e ora tutto si brucia nell’arco di pochissime settimane. E a loro volta i lettori, distratti da altre forme di intrattenimento ed evasione – dalle sempre citate serie tv ai social, alle varie piattaforme web – hanno meno tempo da dedicare ai libri. Proprio da simili realtà arriva oggi nuova linfa e l’editoria attinge a piene mani da questi nuovi generatori di contenuti, ma il rischio è di affidarsi con troppo entusiasmo a fenomeni di grande attualità che si esauriscono velocemente, mandando al macero (letteralmente) ciò che è vecchio di poche settimane. La mia sensazione è che anche il mercato librario si sia fatto troppo “liquido” e che manchi di punti di riferimento solidi e duraturi».

In effetti un best seller europeo di primo Novecento, come I Buddenbrook, che all’epoca vendette un milione di copie, rimaneva attuale per anni, per poi diventare un classico e dunque virtualmente eterno. Certi libri segnavano un’epoca. Altri, una generazione. Oggi, invece, i libri stanno in libreria come d’autunno sugli alberi le foglie… E la letteratura impegnata, che fino a pochi anni fa guardava quella commerciale dall’alto in basso, oggi ne è quasi in soggezione.

È per questo, per colpa, se così si può dire, del sistema nel suo insieme, che gli editori, per sopravvivere, si ritrovano a dover essere prima di tutto abilissimi cacciatori di sguardi distratti.

Perché il lettore debole è più imprevedibile e vibratile di un criceto (spesso neanche tanto più erudito), e la sua attenzione dura ancora meno. Quindi va catturato al volo, e la promozione commerciale, per funzionare, dev’essere trappolaggio puro.

Commissari, fantasy, trilogie, libri che cavalcano la cronaca, epopee varie diventano così il prodotto ideale. Ogni singolarità è un problema, se non un pericolo. Mentre tutto ciò che è seriale, come la tv insegna, si vende meglio.

A farne le spese, soprattutto la saggistica non divulgativa, che richiede nel lettore strumenti culturali (e interessi) più sofisticati.

Ma un caso a parte è quello della così detta editoria specializzata. Anche qui si soffre, certo, ma la qualità resiste: «Sono convinto che la qualità non solo paghi, ma sia l’unica via», afferma Claudio Pescio, Direttore della Divisione Arte della Giunti: «In certi settori, come l’arte, esistono caratteristiche oggettive che fanno la differenza, e poi il pubblico di riferimento è competente ed ha precise aspettative.» E, a proposito del web, sottolinea un aspetto che sarà sicuramente caro ai feticisti della cellulosa: «Il rapporto con l’opera d’arte, vissuto attraverso la stampa su carta, è sicuramente superiore, più profondo e gratificante. L’editoria di qualità esiste, ed è frutto di un insieme di professionalità che devono esprimersi al meglio e a tutti i livelli della realizzazione di un libro. Anche nei settori specialistici, naturalmente, esiste la necessità di veicolare messaggi commerciali, ma i vincoli sono stringenti e bluffare non servirebbe assolutamente a nulla.»

Questo mondo variegato e pittoresco che è il libro al tempo di Internet, ha generato anche un universo parallelo virtuale fatto di figure professionali nuove: self publishing, web scauting, bookblogger, booktuber… Fatalmente, il livello medio è scadente, ma la rete offre di tutto. Giulia Ciarapica, ad esempio, alias La Mela Marcia, è diventata leader usando il suo talento in maniera quasi eroica, cercando di coniugare le moderne modalità di comunicazione e lo spessore dei contenuti; mentre Ilenia Zodiaco, seguita su YouTube da 30mila fan, ha costruito la sua popolarità puntando su una maniera carismatica di porgersi al pubblico.

La ricaduta sociale di questo sistema, nel suo insieme, ha certamente degli aspetti negativi. La tendenza a manipolare i lettori, piuttosto che a formarli ed emanciparli, non sembra poter portare molto lontano.

Tuttavia, se la grande editoria si appiattisce su scelte standardizzate, la piccola editoria resiste in trincea. Le sigle indipendenti che pubblicano almeno un libro l’anno sono ben 4.000 e, da quelle storiche come Scheiwiller, alle più nuove come la minuscola Fuorilinea, lo spirito non cambia.

Sono ancora loro l’humus in cui affondano le radici della cultura, sono loro che ne garantiscono l’indispensabile biodiversità e che hanno il coraggio di infischiarsene del fatturato e di credere nel sogno che la bellezza salverà il mondo.