Non c’è domanda a cui sia più difficile rispondere di «Come stai?». Tranne casi rari, nei quali l’interpellato si sente in pace con sé e col mondo, il dubbio è se rispondere sinceramente, travolgendo l’interlocutore con una slavina di angustie e di problemi, o limitarsi – come si fa quasi sempre – a un generico «Bene», pilotando poi la conversazione verso orizzonti più tranquilli. In ogni caso, il consiglio è di non rivolgere mai il fatidico interrogativo a chi lavora nell’editoria.
Stando a un’inchiesta del periodico specializzato britannico The Bookseller, almeno nel Regno Unito la situazione è disastrosa: «L’89% dei dipendenti di case editrici e librerie che hanno risposto al sondaggio ha sperimentato stress sul lavoro nell’ultimo anno, mentre il 69% dichiara di essere completamente esaurito», scrive nelle prime righe dell’articolo l’autrice, Sian Bailey. E quello che viene dopo non fa che confermare l’incipit. Scorrendo le testimonianze delle 230 persone coinvolte (perlopiù redattori presso sigle editoriali), troviamo lamentele ricorrenti: orari sempre più lunghi, fino a 20-30 ore settimanali di straordinario; una mole di lavoro in continua espansione per quantità e tipologia; pressioni esagerate sui dipendenti più giovani, cui tocca spesso di lavorare, alla lettera, per due.

«L’equilibrio tra lavoro e vita privata è una barzelletta! Ho sentito di persone che arrivavano a rinunciare alla pausa pranzo per fare fronte a scadenze urgenti», dice un redattore attivo nel settore da nove anni e convinto che il telelavoro durante la pandemia abbia peggiorato di molto le cose, esaltando «la cultura dello straordinario». Gli fa eco un altro intervistato (o più probabilmente un’altra intervistata), che lavora in una casa editrice dal 2015 e dichiara di dover svolgere «intere aree» del proprio lavoro al di fuori dell’orario contrattuale, aggiungendo che in questa situazione non si sente in grado di metter su famiglia, al punto da «prendere in seria considerazione» l’ipotesi di lasciare l’editoria.
Non è un caso isolato: secondo alcune risposte, pare sia in corso «un esodo in massa», anche perché non si può dire che le retribuzioni siano all’altezza di tutto questo lavoro. In un segmento separato dell’indagine Bailey affronta infatti un argomento di cui solitamente si parla poco: quanto sono pagate le persone che lavorano nel settore editoriale. E qui i toni sono altrettanto dolenti, se non di più: «Più di due terzi degli intervistati, il 69%, hanno dichiarato di non essere pagati adeguatamente per il loro lavoro, mentre il 41% ha dichiarato che non consiglierebbe una carriera nell’editoria».

Ma cosa significa che lo stipendio non è adeguato? Molto banalmente, che «per il 37% degli intervistati l’attuale stipendio non basta a coprire il costo della vita, una percentuale che sale al 41% quando la domanda non riguarda gli anni passati, ma il costo della vita in questo 2022 e che aumenta del 33% quando si chiedono previsioni di stima per il 2023». E non parliamo di un futuro più lontano, come testimonia questa risposta: «La mia più grande preoccupazione è sul lungo termine: non riuscirò mai ad accedere al mercato immobiliare e non potrò mai permettermi di andare in pensione. Non so cosa farò quando sarò troppo vecchio per lavorare, visto che non ho famiglia. Oggi come oggi il futuro mi sembra incredibilmente cupo».
Eppure, nonostante lo stress e la fatica legati al lavoro, nonostante paghe tutt’altro che soddisfacenti, l’impressione è che alla resa dei conti non resti che sopportare o fuggire: solo il 16% degli intervistati, infatti, dichiara di avere aderito a un sindacato.
E cosa verrebbe fuori se la stessa inchiesta si facesse qui?