In un recente sondaggio promosso da Acta (associazione che rappresenta i freelance in Italia) e Slow News è emerso che la maggior parte dei lavoratori del settore dell’editoria e della comunicazione sono in realtà lavoratrici: giovani, donne, sottopagate.

Così era risultato molto chiaro anche da una ricerca fatta dalla rivista on-line inGenere (in collaborazione con il Festival inQuiete, Bookpride e il Salone del libro di Torino): chi lavora nel settore editoriale sono soprattutto le donne, chi scrive sono soprattutto le donne, chi compra i libri sono soprattutto le donne. Ma dall’altra parte, come capita in molti altri ambiti, le donne continuano a essere meno considerate quanto più il potere e le concentrazioni economiche aumentano, quando si scalano i vertici, quando bisogna dare priorità alle recensioni sui maggiori quotidiani, quando vanno assegnate le sale principali alle fiere del libro, quando insomma si tratta di maggiore riconoscimento e visibilità.

Il 2020 non è concluso e fare un bilancio sull’annata e sui suoi effetti sembra ancora prematuro, ma una impressione forse possiamo azzardarla. È sembrato infatti di assistere in questi mesi a una riduzione della visibilità delle donne sui media e nei luoghi più esposti della comunicazione e della cultura. Una annata di grandi premi in cui la presenza delle donne è stata scarsissima mentre i quotidiani e le riviste che hanno messo su inchieste e reportage sulla pandemia in corso si sono affidati quasi esclusivamente a scrittori maschi: come a dire che quando i tempi sono duri e si cercano risposte è bene che siano gli uomini a darle. Potremmo chiederci se è un fenomeno contingente o invece un concreto passo indietro.

È imbarazzante, e anche un po’ sgradevole dover sottolineare dei dati di fatto ma sembra ancora lontano un naturale bilanciamento all’interno della nostra filiera del libro. Alcuni degli editori indipendenti, presenti all’incontro tenutosi il 7 luglio scorso alla Casa Internazionale delle donne di Roma nell’ambito di Feminism/3 (la Fiera dell’editoria delle donne), si sono dichiarati propensi alla pubblicazione di libri a firma femminile, che peraltro riscuotono interesse e attenzione. Le editrici presenti hanno dato testimonianza di alcuni progetti innovativi che si sono concretizzati durante la quarantena da Covid-19 e che hanno molto a che fare con la sostenibilità e il digitale. Nel complesso, il lockdown dovuto alla pandemia – con le librerie chiuse, la distribuzione bloccata, gli uffici deserti, le nuove uscite rinviate e alcuni dei titoli appena pubblicati caduti in un pozzo nero – ha da un lato evidenziato problemi già presenti da tempo del settore, dall’altro ha visto una reazione “creativa” da parte soprattutto degli editori e librerie indipendenti di cui occorrerà far tesoro per il futuro.

Restano, gravi e difficilmente risolvibili, i problemi dovuti alla forte precarietà delle figure professionali – in maggioranza donne, come detto – e quelli legati alla consapevolezza di una programmazione che davvero sia in grado di dare il giusto valore alle scrittrici – di narrativa, saggistica, poesia e di quei molti generi “ibridi” che la scrittura, specie quella femminile, sta mettendo in campo. L’invito è quello di fare dell’editoria indipendente, proprio a partire dalla sua vocazione di ricerca e sperimentazione, un deciso soggetto “oltrecanonico”. Perché il cosiddetto “canone letterario”, con il suo carattere normativo ed escludente, è tuttora un fattore potente per l’attribuzione di autorevolezza, e dunque a monte, più o meno consapevolmente, di orientamento e scelte su cosa pubblicare (o recensire, premiare, promuovere, mettere in vetrina). Problema che per fortuna i gusti di lettrici e lettori riescono spesso ad aggirare con la forza (anche commerciale) delle loro scelte. Ma tuttora cruciale nel campo dell’istruzione, e di conseguenza assai discusso tra le/gli insegnanti e docenti universitari, cui l’editoria cosiddetta “scolastica” continua a fornire testi del tutto anacronistici: storie della letteratura e antologie per le scuole superiori ricalcano ancora in gran parte il modello di Francesco de Sanctis, escludendo donne e “minori”, per non parlare di scrittrici e scrittori italiofoni – o della migrazione – ormai presenti nel nostro orizzonte di lettura da circa 30 anni.

Cosa può fare l’editoria indipendente in questo settore, dal quale – per costi insostenibili e carenza di risorse umane – è assente? Alcune case editrici delle donne (come Matilda, Settenove, Sinnos) si stanno dedicando a “contromanuali” per le/i più piccoli; alcune collane sono dedicate agli Young Adults (EDT, Editoriale Scienza); altre agli Studi delle Donne, in stretta relazione con la Società Italiana delle Letterate e con la Società Italiana delle Storiche (Iacobelli e Viella) – giusto per fare alcuni esempi. Ma il campo da arare è gigantesco.

Sta di fatto, che molte delle nuove proposte che emergono dall’editoria indipendente sono esempi di una politica culturale alternativa: quelle tante giovani donne sottopagate censite dalle ultime ricerche spesso fungono da motore di proposte che dovrebbero riguardare tutte e tutti. Il che testimonia di competenza, passione, creatività. Che cosa le motiva? Si sa che “fare libri è un mestiere di cura”: la filiera che porta dal manoscritto al banco della libreria è lunga e complessa – chi scrive si affida a quel primo lettore/lettrice che è l’editor, poi bisogna rifinire, impaginare, rivedere le bozze, disegnare la copertina, comporre titolo e paratesti, scegliere la carta e i caratteri, stampare, rilegare, distribuire e esporre, fare ufficio stampa per le presentazioni e le testate giornalistiche, e possibilmente vendere. Vendere nel tempo brevissimo, concitato, in cui il libro entra ed esce dalle librerie, insalutato ospite quando l’autrice/autore non si spende fino allo spasimo per accompagnarlo.

Ci vuole cura, ad ogni passaggio. E le donne, si sa, di cura se ne intendono per antica sapienza e pratica. Ma c’è anche la passione per le parole e per l’oggetto, per il pensiero e i mondi che si raccontano: perché il libro non è un prodotto come un altro, checché se ne dica. C’è un valore aggiunto, anche politico, che potremmo definire “militanza culturale”. Così tra cura e militanza – o per dirlo altrimenti, con una militanza che mette all’opera la cura oltre che i saperi e le passioni – molte donne si ritrovano in prima fila a spendersi in lavori sottopagati o in qualche caso anche gratuiti. Che a volte diventano vero e proprio sfruttamento.

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Feminism/3, terza edizione della Fiera dell’editoria delle donne, programmata per il 5/8 marzo 2020 era stata rinviata causa pandemia. Ora ha ripreso e rilanciato alcuni degli appuntamenti previsti per marzo con una formula mista in presenza e in diretta FB dalla pagina della Casa Internazionale delle Donne di Roma. Il calendario degli eventi di luglio è consultabile sul sito della Casa e su quello di Archivia/Herstory (feminismfieraeditoriadelledonne.it). Il programma di settembre è in via di definizione.