Fiato sospeso, in Ecuador, in attesa dei risultati elettorali. Domenica si è votato per eleggere il presidente, il suo vice, e i deputati (anche 5 del Parlamento Andino). La coalizione di governo, Alianza Pais, ha ottenuto la maggioranza all’Assemblea. Lo spoglio effettuato finora (92,13%) non consente però di dire se vi sarà un capo di stato al primo turno o se si andrà al ballottaggio, il 2 aprile.

LENIN MORENO, candidato da Alianza Pais per succedere a Rafael Correa ha finora totalizzato il 39,12% contro il 28,32% del banchiere Guillermo Lasso, rappresentante delle destre, che corre per il Movimiento Creando Oportunidades (Creo). La legge prevede che, per passare al primo turno, occorra superare il 50%, oppure il 40% ma con un distacco del 10% sul secondo candidato.

MORENO ha lo scarto richiesto, ma non ha raggiunto la soglia. I pochi punti che mancano potrebbero arrivare dal voto all’estero (3%). Il Consejo Nacional Electoral (Cne) ha però deciso di contare tutti i voti, per «incertezze riguardanti il 5,49%» delle schede», e i risultati si attendono per oggi. Intanto, la tensione sale. Le destre hanno circondato il Cne e sono già pronte a gridare alla frode. L’edificio è stato evacuato per un’allerta alla bomba. Sulle reti sociali si è diffusa la falsa notizia di una sollevazione militare. I vertici delle Forze armate hanno smentito.

NONOSTANTE le dichiarazioni degli osservatori internazionali (Unasur e Osa), che hanno considerato «impeccabile» lo svolgimento del processo elettorale, è pronto lo stesso modulo innescato in Venezuela dopo l’elezione (di misura) di Nicolas Maduro a presidente e che si sarebbe ripetuto se l’opposizione non avesse vinto le parlamentari del 2015. D’altro canto, si è già fatta sentire una ex presidente del Cne venezuelano, l’antichavista Ana Mercedes Diaz, arrivata a Quito come «osservatrice indipendente» per affermare che il sistema di voto ecuadoriano è «totalmente viziato».

IL DIRETTORE di campagna dell’opposizione in Ecuador – Jaime Duran – è lo stesso che ha orientato Mauricio Macri in Argentina, portandolo alla vittoria al secondo turno contro Daniel Scioli. Un modulo già visto: le destre seducono usando la parola «cambiamento», mascherandone l’unico significato che per loro contiene, come ben si vede in Brasile e in Argentina: la scure sui diritti e sulle libertà.

NEL NUOVO contesto internazionale, la posta in gioco è alta e travalica i confini dell’Ecuador. Se le destre sfondano, la Colombia che con Santos vuole entrare nella Nato, avrà un puntello in più che verrà meno all’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba), alla Unasur e alla Celac. Torneranno le basi Usa che Correa ha espulso, dicendo: «le accetteremo quando anche noi potremmo aprirne negli Stati uniti». Cuba, Venezuela e Bolivia (dove le destre hanno già aperto le danze) perderebbero un argine fondamentale. E, di sicuro, verrebbe cancellato il risultato del referendum sui paradisi fiscali, che pure si è svolto domenica e in cui i Si hanno vinto.

PROPOSTO da Correa e appoggiato anche dal Vaticano, il referendum vieta a qualunque funzionario pubblico di possedere beni nel paradisi fiscali, pena la radiazione e prevede la messa a norma del quadro legislativo entro un anno. Un esempio che farà scuola particolarmente nel sud del mondo, dissanguato dall’evasione fiscale. In Ecuador, solo tra il 2014 e il 2015 se ne sono andati così 3 miliardi di dollari.

IN GIOCO non c’è solo l’elezione del presidente, ma due modelli di paese. Da una parte la «rivoluzione cittadina» che, pur con tutti i limiti di un’alleanza ibrida, il calo del prezzo del petrolio e il devastante terremoto subito, negli otto anni di governo di sinistra di Correa ha ridotto la povertà e ridato dignità al paese. Dall’altra, la ricetta dei banchieri e degli imprenditori. Da una parte, un modello di integrazione sud-sud ispirato dal «socialismo del XXI secolo» e dall’interscambio non asimmetrico. Dall’altra, la subalternità a Washington e alla logica del «dio mercato».

LASSO ha dichiarato che consegnerà a Trump «entro 30 giorni» il fondatore di Wikileaks Julian Assange, ancora rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Sulla stessa linea anche la terza classificata la conservatrice social-cristiana Cynthia Viteri (15,4%) che appoggerà Lasso in caso di ballottaggio. Il quarto classificato, l’ex militare Paco Moncayo (7,5%), ha guidato un’alleanza di centro-sinistra che contiene anche gruppi estremisti, prima sostenitori di Correa, ora suoi nemici. Moncayo ha detto che non appoggerà nessuno dei due candidati.