C’è ancora tensione, in Ecuador, per le manifestazioni delle destre che provano a catalizzare lo scontento contro il governo di Rafael Correa. Nella notte di ieri sembrava tornata la calma nella capitale, ma per tutto il giorno si sono verificati alcuni scontri che hanno lasciato un saldo di 86 poliziotti feriti. Anche i manifestanti lamentano cariche e feriti e il fermo di alcuni leader indigeni. Allo sciopero, indetto a livello nazionale dal Frente unitario de Trabajadores, ha risposto infatti la principale organizzazione indigena del paese, la Conaie, un tempo alleata di Correa.
Dopo una marcia di 11 giorni, gli indigeni sono arrivati nella capitale e si sono uniti ad altre categorie – medici e professionisti – visibilmente egemonizzati dai sindaci di destra e dai loro deputati. Come aveva pronosticato Correa, la partecipazione non è stata ampia: enormemente al di sotto di quella dei militanti di Alianza Pais, la coalizione di governo che da giorni contende le piazze ai contestatari per dire che «la revolucion ciudadana non torna indietro». Anche diverse organizzazioni indigene si sono dissociate dalla Conaie, considerando pretestuose le manifestazioni. Nella sua consueta trasmissione del sabato (la sabatina), il presidente ha ricordato le conquiste e i passi avanti determinati dal suo governo nel contesto del «socialismo del XXI secolo». Ha rinnovato l’appello al dialogo con tutti i settori sociali, ma ha ribadito che non accetterà «il ricatto» di chi lo rifiuta con la violenza.
Tutto è cominciato a giugno, quando Correa ha annunciato l’intenzione di presentare un testo di legge (poi sospeso) per aumentare le tasse sulle grandi eredità nell’intento di procedere a un’ulteriore ridistribuzione del reddito. Le destre sono insorte, subito raggiunte da quelle organizzazioni che, apparentemente, sembrano contestare la gestione Correa da sinistra, ma che non si fanno scrupolo di aprire la strada a quei settori ansiosi di riprendere i propri privilegi.
Le destre cercano di ritornare in forze in tutta l’America latina che ha scelto per questo nuovo secolo governi progressisti o socialisti: dal Brasile all’Argentina, dall’Ecuador alla Bolivia al Venezuela. A sostenerle trovano anche quei settori di classe media favoriti dalle politiche di ridistribuzione del reddito, e che ora moltiplicano la spinta al consumo assumendo tratti anche apertamente reazionari.
«Una sinistra deviata si sta facendo usare dalle destre come carne da cannone. E’ triste dirlo, ma questa è la realtà», ha detto ieri il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, che rappresenta la tendenza più di sinistra all’interno del governo. Difficile infatti – ha aggiunto il ministro – «vedere coincidenze di interessi tra le rivendicazioni degli indigeni o degli operai e l’appoggio dato alle proteste da un banchiere come Guillermo Lasso o da un grande imprenditore come Alvaro Noboa, ex candidati alla presidenza. Questa è la manifestazione del lusso».