Diventa sempre più brutale la repressione delle proteste popolari contro le misure di austerity imposte dal governo di Lenin Moreno: i dati della Coordinadora ecuatoriana de contrainformación parlano di 7 morti tra cui un neonato, 95 feriti gravi, più di 500 feriti lievi, 85 persone scomparse, più di 800 detenuti e 57 giornalisti aggrediti dalla polizia.

Particolarmente cruenta è stata la risposta delle forze dell’ordine all’enorme manifestazione del 9 ottobre, con violente cariche proseguite fino all’inizio del coprifuoco e il lancio di bombe lacrimogene persino contro i centri di rifugio predisposti dalla Pontificia università cattolica e dalla Università politecnica salesiana.

«NON C’È MEMORIA nella storia recente del paese di una repressione tanto atroce e violenta contro un popolo che rivendica i suoi diritti», ha denunciato Jaime Vargas, il presidente della Conaie (la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador). La rivolta, tuttavia, non si ferma: dopo una settimana di proteste crescenti, la Conaie e i numerosi altri movimenti sociali insorti contro il governo sono anzi decisi a radicalizzare le proprie azioni finché «il Fondo Monetario Internazionale non uscirà dall’Ecuador».

In questo quadro, la via del dialogo non potrebbe apparire più in salita. Tant’è che all’annuncio da parte del vicepresidente Otto Sonnenholzner dell’apertura di un tavolo negoziale, la Conaie ha smentito in maniera drastica: «Non abbiamo negoziato né siamo giunti ad alcun accordo con questo governo repressore e criminale».

Afp

Né sono apparse di grande aiuto le parole del vicepresidente sul rafforzamento della presenza militare per le strade al fine di scongiurare «atti che destabilizzino la democrazia», insieme alla denuncia, senza prove, riguardo alla presunta presenza di agenti stranieri pagati 40-50 dollari per compiere azioni terroristiche.

Se mai ci sarà un dialogo, comunque, la Conaie ha già chiarito quali saranno le sue condizioni: la rinuncia dei ministri della difesa e dell’interno, Oswaldo Jarrín e Maria Paula Romo e la revoca del paquetazo economico.

Ma la potente organizzazione indigena ha voluto chiarire anche un altro punto, in relazione al ruolo esercitato nelle proteste dai settori vicini all’ex presidente Rafael Correa, i quali vedono nella rivolta popolare in atto una possibile occasione di rivincita nei confronti del «traditore» Moreno.

«LA CONAIE – si legge sulla sua pagina Twitter – si dissocia dalla piattaforma golpista del correismo: la nostra lotta è per cacciare dall’Ecuador l’Fmi. Non permetteremo a quanti ci hanno criminalizzato per 10 anni di trarre vantaggio dalla nostra lotta e da quella del popolo ecuadoriano». La Conaie, insomma, non dimentica la «persecuzione sistematica» del movimento indigeno da parte dall’ex presidente, accusato di aver tradito la Costituzione, intensificato il modello estrattivista e criminalizzato la protesta sociale: «I popoli – scrive – hanno memoria e rifiutano questo rozzo opportunismo».