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Ecuador, il Parlamento affossa l’Ivg per stupro

Ecuador, il Parlamento affossa l’Ivg per stuproQuito, attivisti per il diritto all'aborto manifestano fuori dall'Assemblea nazionale – Ap

America latina Approvato il veto parziale del presidente Lasso sulla depenalizzazione dell'aborto nei casi di violenza sessuale sancita a febbraio dalla Corte suprema

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 17 aprile 2022

Per le donne ecuadoriane vittime di violenza sessuale, la legge sulla depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro, più che un piccolo passo avanti, appare una beffa.
Anche quella minima apertura rappresentata dalla legge approvata dal parlamento il 17 febbraio – in seguito alla decisione della Corte costituzionale di depenalizzare l’aborto in caso di stupro modificando l’articolo 150 del Codice penale – è di fatto sfumata di fronte alla decisione dell’Assemblea nazionale di piegarsi al veto parziale posto dal presidente Lasso lo scorso 15 marzo.

Un veto che aveva ancora accentuato le restrizioni della normativa, la quale stabiliva come limite massimo per l’interruzione di gravidanza in caso di violenza sessuale le 12 settimane di gestazione, che potevano diventare 18 nel caso di donne, bambine e adolescenti provenienti dalle zone rurali del paese: molto al di sotto quindi delle 20 o persino delle 28 settimane indicate dalle precedenti versioni del progetto di legge.
Già allora le organizzazioni femministe avevano espresso tutta la loro delusione, sottolineando come l’88% delle vittime di violenza sessuale non sarebbe rientrato nei limiti di tempo stabiliti. Ma l’intervento di Lasso aveva fatto ancora peggio, unificando in 12 settimane il tempo massimo legale per interrompere la gravidanza in caso di stupro, imponendo l’obbligo di presentare una denuncia, una dichiarazione giurata o un certificato medico in grado di accertare la violenza e definendo le condizioni per l’obiezione di coscienza del personale medico. Oltre a chiarire che in Ecuador, dove ogni giorno partoriscono sette bambine con meno di 14 anni, l’aborto va considerato non un diritto ma un’eccezione.

E SE C’ERA ANCORA una possibilità – che cioè la maggioranza assoluta dei parlamentari respingesse le 61 osservazioni del presidente – l’Assemblea nazionale l’ha vanificata giovedì scorso, di fatto l’ultimo giorno utile per pronunciarsi sul veto, in una sessione durata appena 30 minuti.
Dopo la sonora bocciatura di una mozione allineata alle osservazioni di Lasso presentata da Pierina Correa, sorella di Rafael Correa, la presidente dell’Assemblea Guadalupe Llori si è infatti affrettata a concludere la sessione augurando a tutti buone feste, impedendo così che venisse votata la mozione del presidente della Comissione Giustizia Alejandro Jaramillo a favore della ratifica del testo originale.

«È una vergogna il modo in cui dirige l’Assemblea», ha commentato Jaramillo, tra le tante voci critiche nei confronti della presidente del parlamento, che, come prima indigena a occupare la carica, aveva suscitato ben altre aspettative. «Ha usato il potere in maniera dolosa», ha denunciato la direttrice della Fundación Desafío Virginia Gómez de la Torre, evidenziando il «disprezzo» di Llori per «i diritti delle donne della classe popolare che pure dovrebbe rappresentare».
Ed è così che la nuova legge rivista e corretta da Lasso entrerà automaticamente in vigore in Ecuador, dove l’interruzione di gravidanza era finora consentita solo in caso di pericolo per la vita della madre e in quello di stupro contro una donna con disabilità mentale.

E per quanto le organizzazioni femministe vogliano dare battaglia, annunciando la presentazione di un ricorso di costituzionalità, le possibilità che questo venga accolto sono di fatto nulle. Del resto, come ha dichiarato Virginia Gómez, «che la Corte costituzionale abbia depenalizzato l’aborto in caso di stupro è un passo enorme ma appena simbolico», perché, in assenza di parametri chiari, un risultato al ribasso era ampiamente prevedibile.

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