«I morti ufficiali per Covid sono 13.500. Dovremmo però considerare – sostiene il giornalista e politologo ecuadoregno Decio Machado – che sui morti non è stato effettuato il tampone, quindi il numero è di circa 40mila persone. Per numero di abitanti, l’Ecuador è il secondo paese dell’area per mortalità e si pone dietro solo al Perù. Dico questo perché praticamente ogni famiglia qui ha subito e sentito da vicino la pandemia, e ora la frattura sociale generata dalla crisi socio-economica che ne è scaturita invade tutto il paese. Aggiungo che domenica 7 febbraio le elezioni saranno una sorta di momento di collettivizzazione del dolore».

IL PRESIDENTE USCENTE, Lenin Moreno, fortemente contestato per le sue manovre neoliberiste, non è tra i 16 candidati alla presidenza. Così il voto per le presidenziali non si convertirà in un referendum su come il governo ha gestito l’emergenza Coronavirus. Moreno ha cercato fino all’ultimo, sembrerebbe senza riuscirci, di spostare la scadenza elettorale. assecondando ancora una volta le pressioni economiche nazionali e soprattutto internazionali. La paura è che Andrés Arauz, candidato in quota Rafael Correa, possa diventare il più giovane presidente dell’Ecuador e mettere così, nello scacchiere latinoamericano un nuovo, presunto, governo di stampo progressista.

«Moreno è partito dal correismo ma ha fatto del suo programma politico e della sua presidenza un percorso denso di contraddizioni», ricorda Giorgio Tinelli docente del Master in relazioni internazionali Europa-America Latina dell’Università di Bologna-rappresentanza in Argentina.

I SONDAGGI, pur considerati poco attendibili, darebbero ad Arauz un certo vantaggio sui suoi sfidanti. Il candidato di Unione per la Speranza (UNES), il nuovo nome dato alla coalizione correista dopo Moreno, è però distratto dalle fake news che le destre e diversi media stanno scatenando. L’ultima, in ordine di tempo, è che la campagna elettorale di Arauz sia finanziata dall’Esercito di liberazione nazionale colombiano (Eln).

Tra gli altri 15 candidati, al secondo posto ci sarebbe il banchiere, vicino a Opus Dei, Guillermo Lasso, del movimento Creo e al terzo posto l’indigeno Yaku Pérez, di Pachakutik.

IL RISULTATO “INDIGENO” è proprio l’incognita che potrebbe determinare il risultato finale. La candidatura Perez arriva dopo una spaccatura nel movimento indigenista. Da una parte c’è chi ha guidato le proteste contro l’accelerazione neoliberista del presidente uscente, dall’altra Pérez e la sua area moderata.

 

Yaku Pérez, candidato del partito indigeno Pachakutik, nelle strade di Quito lo scorso 3 febbraio (Ap)

 

Nonostante il duro dibattito e i forti malcontenti la Conaie, il gruppo politico che ha di fatto guidato la protesta anti Moreno contro il “paquetazo” ha comunque ribadito l’appoggio a Pérez. Il candidato di Pachakutik nel 2017 invitò a votare per Lasso contro Moreno. Oggi invece potrebbe togliere a Lasso quanto basta per far vincere al primo turno Andrés Arauz. Ma nessuno si sbilancia. Più facile che i risultati che usciranno dalle urne del primo turno serviranno a costruire alleanze elettorali in vista del molto probabile ballottaggio dell’11 aprile.

DOMENICA QUINDI 13 MILIONI di persone sono chiamate ai seggi per eleggere la coppia presidente/vicepresidente, i 137 rappresentanti dell’Assemblea nazionale e cinque parlamentari andini. «Comunque finirà – ci dice Tinelli – chi vincerà queste incerte elezioni governerà per i prossimi quattro anni un paese messo alle strette dall’impatto della pandemia, dai debiti e dalle polemiche politiche degli ultimi anni».