«Ectopia – Shooting in the Corner» è il nuovo spettacolo del Tanztheater Pina Bausch di Wuppertal, presentato in prima mondiale al Forum Leverkusen il 6 Novembre.

La parola «Ectopia» deriva da un termine medico che sta ad indicare un organo del corpo umano che non è al suo posto, come ad esempio un posizionamento anomalo del cristallino dell’occhio. Un fuori posto che entra sulla scena del Tanztheater di Pina Bausch con la presenza sul bordo del palcoscenico del grande cannone di Anish Kapoor, che spara veramente diverse volte contro il muro all’angolo.

Dopo una lunga pausa forzata a causa della pandemia che ha impedito finora gli spettacoli pubblici, il Teatro Danza Pina Bausch finalmente ha rilanciato la sua sospirata ripresa a contatto con il pubblico che da sempre è parte fondamentale della sua esperienza creativa.

Il teatro dell’opera di Wuppertal dove la compagnia ha la sua sede provvisoria è inagibile a causa delle alluvioni di questo inverno e la première di Ectopia si è tenuta al Forum di Leverkusen. Quattro spettacoli che sono stati molto apprezzati dal pubblico e se tutto andrà bene con le varianti delta in Germania e in Europa tutti sperano in una programmazione internazionale. Un’esperienza che comunque non si è mai fermata dopo la scomparsa di Pina Bausch nel 2009, la Compagnia ne eredita il patrimonio artistico e continua la sua produzione di teatro danza ospitando coreografi di tutto il mondo. Questa volta è l’americano Richard Siegal che fa interpretare a otto danceurs un’idea di «Ectopia» e di interazione sulla scena con il lavoro di Anish Kapoor Shooting into the corner.

Il cannone progettato dall’artista indiano/inglese, famoso per le sue grandi sculture e invenzioni sceniche di arte concettuale, spara dei veri proiettili da 11 Kg di cera su due grandi muri che formano un angolo a 10 metri di distanza sul palcoscenico. I ballerini riempiono quel vuoto con la loro presenza che si muove sul palcoscenico e scivola sulla sostanza di cera rossa che esplode sul muro rimbalzando sul pavimento e sui corpi.

L’installazione Shooting into the Corner creata da Kapoor nel 2008 è ora per la prima volta sul palcoscenico di un teatro, «una scultura che si ricrea costantemente, a cui i ballerini del Tanztheater sono continuamente esposti. Il risultato è un’opera d’arte totale con estremi contrastanti e linguaggi artistici diversi».

In occasione della prima mondiale di Ectopia il 6 novembre, l’artista Anish Kapoor e il coreografo Richard Siegal parlano della loro collaborazione e di ciò che li muove come artisti. L’installazione di Anish Kapoor Shooting into the Corner, originariamente sviluppata per musei e gallerie nel 2008, è ora in scena per la prima volta. Cosa c’è l’uno dell’altro che affascina i due artisti che entrano in questa connessione?
Kapoor:
Io penso alle cose che abbiamo fatto, a quello che abbiamo in comune in questo senso, un lavoro che in un corto o lungo termine avrà una visibilità pubblica. Per questo noi rischiamo quello che dobbiamo rischiare e portiamo la nostra formazine in pubblico. Un lavoro che non è solo nello spazio del proprio essere, se non quando nella sua esposizione diventa il respiro dello spazio.

Siegal:
Anni fa sono stato alla tua esposizione al Guggenheim Bilbao e ho visto lì per la prima volta Shooting into the corner. È stato molto intenso nella forza, nella tensione, nella violenza, ma anche nella sensazione di umorismo, ambiguità, metafora. E quello che in particolare mi affascina, naturalmente nel senso performativo, viene fuori dal rituale del caricare il cannone, trasportare i proiettili, l’anticipazione dello sparo, il suono che avvolge l’installazione prima dello scoppio, l’impatto.

Kapoor:
È chiaro che questo lavoro è profondamente violento, ha a che fare con la pittura, c’è una relazione simbolica tra il cannone sull’angolo e il terrore, è tutto connesso come quando la ballerina infila la testa nel cannone: la fragilità del corpo e l’inevitabile aspetto militaresco è tutto parte della scena.

Siegal:
Senza dubbio c’è una grande frizione sul palcoscenico che ha origine «all’angolo», abbiamo tutti questa immagine di paura e pericolo. Sulla parete c’è la materia stessa, che tu dici di cera, che noi siamo arrivati a chiamare la sostanza, che sparsa sul pavimento crea anche un ambiente precario per i ballerini. Una precarietà che non è solo per quanto quel vero proiettile potrebbe essere letale se colpisse qualcuno, il pubblico ne è consapevole fin dall’inizio della performance, c’è anche il fatto che i ballerini letteralmente scivolano e slittano, creano delle traiettorie sul palco muovendosi in un modo che normalmente non è possibile fare.

Kapoor:
C’è a un certo punto un confine, un bordo dove tutto è disperatamente serio e in quello stesso momento può diventare comico, come una costruzione geometrica che è alla base di vita organica. Qual è l’opposto di identità, perché abbiamo così bisogno di identità? Questa identità, nessuna identità? Per identificare, specialmente in questo periodo epocale, quando spuntano neo nazionalismi e governi patriarcali fascisti… in aggiunta a tutto quello che riguarda il cambiamento climatico. Io sono per nessuna identità. Oggi ognuno può fare quello che vuole, tutte le forme sono accettate, non c’è linguaggio, siamo arrivati in una era post formale, non è rimasto spazio per il nuovo, uno spazio che per me può essere solo emozionale.

Siegal:
Sì hai ragione ma chi è che spara il cannone? È un momento di grande confusione, dobbiamo resistere. Io mi sento molto fortunato e onorato qui al Tanztheater, per me si tratta delle sensazioni, dei momenti in studio quando entri in un profondo stato di concentrazione e ti allontani dal tuo razionale frame-work che normalmente determina le tue azioni. Naturalmente con grande soddisfazione quando c’è il contatto con il pubblico.