«Siamo all’ultimo chilometro di questa maratona iniziata vent’anni fa. Ci siamo quasi. Manca solo un ultimo sforzo e soprattutto la volontà politica per battere il partito trasversale e subdolo degli inquinatori, presente anche in Parlamento». Ne sono convinte le 25 associazioni ambientaliste che, «in nome del popolo inquinato», chiederanno oggi «con forza un voto urgente del ddl sugli ecoreati», approvato un anno fa dalla Camera e rimaneggiato da allora, lentamente e in senso peggiorativo, dalle commissioni riunite Giustizia e Ambiente del Senato. Un testo che avrebbe dovuto tornare all’esame dell’Aula oggi ma che probabilmente slitterà nuovamente alla settimana prossima, in coda alla votazione dei decreti Imu, che scade il 24 marzo, e del Milleproroghe.

Per questo il mondo dell’ambientalismo – dal Wwf a Greenpeace, dall’Arci alla Lav, dalla Lipu al Forum dei movimenti per l’acqua, dai Medici per l’ambiente a Medicina democratica, comprese molte associazioni di categoria come Kyoto club, Coldiretti, Cia e Federmabiente – si mobilita oggi per un sit-in davanti al Senato (Piazza delle Cinque Lune), a partire dal primo pomeriggio, promosso da Legambiente e Libera, affinché «d’ora in poi “chi inquina paghi” senza condoni e perché non si ripetano più vergogne come i disastri impuniti di Marghera, Eternit, Bussi, Augusta o Gela».

Catastrofi ambientali davanti alle quali i magistrati finora hanno avuto le mani legate, costretti con grande difficoltà a contestare al massimo il reato di «disastro innominato», contemplato nell’articolo 434 del codice penale sul «Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi», per i quali sono previste pene massime di 12 anni. Con prescrizioni, come abbiamo visto nel caso Eternit, che vanno di conseguenza. E invece il ddl che introduce per la prima volta nell’ordinamento italiano quattro nuove tipologie di reati ambientali — inquinamento, disastro, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività e delitti colposi contro l’ambiente – prevede il raddoppio dei tempi rispetto ai reati ordinari. Le pene infatti vengono elevate fino a 15 anni, con ulteriore aggravante in caso di morte e lesione in conseguenza di delitti ambientali, grazie all’emendamento Casson approvato durante l’ultima seduta dell’Aula.

Il problema però è che in Senato l’iter del provvedimento procede nel complesso lentamente: dopo 11 mesi di lavoro in commissione, nelle due sedute della settimana scorsa sono stati votati 35 emendamenti. Ne restano ancora 115, tra i quali quello sul «ravvedimento operoso» che esclude la punibilità per chi, prima della dibattimento di primo grado, «provvede alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi». Anche in caso di recidiva. Un emendamento che secondo Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «è stato scritto dalla Confindustria» e che a parole tutti – Pd e relatori in primis – dicono di voler eliminare, per ritornare al testo licenziato dalla Camera che contemplava per il «ravvedimento operoso» solo una attenuante. «Apprezziamo le dichiarazioni d’intenti – ribatte Ciafani – ma aspettiamo il voto in Aula perché per quella frase vergognosa che va soppressa, essendo un salvacondotto per chi inquina e un’incitazione a reiterare l’ecoreato, Confindustria ha lavorato a lungo e in maniera sotterranea».

«Gli ecoreati – spiega Ciafani- costano alle casse dello Stato decine di miliardi l’anno». Un calcolo esatto dei costi in termini di Pil non è mai stato fatto, ma nell’ultimo rapporto sulle ecomafie, del 2014, Legambiente ha calcolato che il fatturato del solo smaltimento illegale di rifiuti si attesta sui 4 miliardi annui. Senza contare ovviamente gli incalcolabili danni sugli ecosistemi e sulla salute dei cittadini. E ieri, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza Eternit, in molti chiedono, come fa Ermete Realacci dalla cui proposta nasce il ddl sugli ecoreati, «che il Senato approvi in tempi rapidi e nella miniera migliore la legge che introduce nuovi strumenti che renderanno più efficace il contrasto alle illegalità e alle ecomafie».