Il Parlamento ha varato la riforma delle agenzie ambientali, una legge importante e attesa da anni che riordina l’intero sistema dei controlli e che va a completare il lavoro svolto sui reati ambientali in questa legislatura. Con quel provvedimento, varato lo scorso anno, sono stati messi in campo strumenti di repressione che, ad un primo bilancio, si sono rivelati molto efficaci: secondo i dati di Legambiente sono oltre mille i procedimenti avviati grazie alle nuove figure di reato. Oggi è più facile contrastare disastri come quelle della Terra dei Fuochi, di Seveso, di Bussi, di Casale Monferrato, della Caffaro di Brescia. Basti pensare che prima dell’approvazione degli ecoreati il disastro ambientale veniva punito come «disastro innominato» mentre l’inquinamento era trattato come «getto pericoloso di oggetti».

La repressione e la prevenzione hanno però bisogno di verifiche e controlli. Oggi le agenzie ambientali operano in un regime di grande frammentarietà. Quelle meno attrezzate spesso faticano a confrontarsi in modo paritario con i grandi gruppi industriali, come nel caso dell’Ilva di Taranto o del’Eni e della Total in Basilicata. Con la riforma si potenziano le strutture, si adottano i Livelli Essenziali di Prestazioni Tecniche Ambientali (Lepta), si avvia un coordinamento nazionale affidando all’Ispra un ruolo centrale e si istituisce il Sistema Informativo Nazionale Ambientale.

Il Presidente Mattarella ha più volte sollecitato giustamente un processo di semplificazione normativa. Sia la legge sugli ecoerati che il riordino delle agenzie sono anche la premessa indispensabile per una semplificazione che non significhi deregulation. Per fare questo occorre ridare credibilità, vigore e onore alle istituzioni dello Stato e alle politiche dei controlli. Legalità ed autorevolezza sono presupposti per rendere possibili scelte che aiutano il futuro, tutelano cittadini e territorio, favoriscono un’economia pulita.

Il provvedimento nasce da una proposta di legge di iniziativa parlamentare a mia prima firma, poi unificata con quelle dei colleghi Alessandro Bratti (PD) e Massimo De Rosa (m5s). Il testo fu votato all’unanimità a Montecitorio due anni fa. Il mese scorso finalmente il Senato ha dato il via libera, ma con due piccole modifiche. E così la legge è tornata alla Camera per la terza lettura. Con l’impegno di tutti i gruppi in Commissione Ambiente e del relatore Filiberto Zaratti (Sel) vi è stato un esame rapido grazie al quale si è giunti presto in Aula al voto definitivo. Agli affezionati del bicameralismo perfetto vorrei segnalare questo esempio, ma se ne potrebbero citare tantissimi altri anche a parti invertite, per far riflettere sulla farraginosità di una procedura che mostra ormai i segni del tempo e che talvolta ostacola leggi importanti per il Paese.

Il varo di questa riforma stimola anche una riflessione più generale su quale possa essere il ruolo dell’ambiente nell’economia e nella politica. Un recente studio illustrato da Ilvo Diamanti pone i termini «ambiente ed energie rinnovabili» in cima alla classifica delle parole considerate dagli italiani importanti per il futuro. Un segnale da cogliere, perché dice che i cittadini percepiscono i problemi dell’ambiente e le opportunità della green economy in modo più intenso di quanto sembri. Un trend che in Europa si è manifestato a volte anche in politica, con le recenti elezioni tedesche dove il verde Winfried Kretschmann ha vinto largamente le elezioni nel Baden Wuttenberg, uno dei Lander più popolosi e industriali della Germania. Oppure con l’elezione a presidente dell’Austria dell’ambientalista Alexander Van der Bellen, che ha stoppato quella che sembrava l’irresistibile ascesa dei nazionalisti di Norbert Hofer.

Per rilanciare l’economia e l’occupazione e per un’idea di futuro condivisa, credo sia giunto il momento che in Italia, e nel Partito Democratico, si debba puntare ad un ruolo centrale di questi temi e fare della green economy la strada maestra per tornare a crescere con un’economia più a misura d’uomo. Un’opportunità concreta, ulteriormente stimolata dagli accordi della Cop21, per uno sviluppo che punti sulla qualità, sull’innovazione, sulla bellezza, sui diritti e sulla coesione dei territori.