Le dimissioni del primo ministro della Tunisia Elyes Fakhfakh il 15 luglio scorso sono il frutto di un’incertezza politica che sta interessando il Paese almeno dal 6 ottobre 2019, giorno delle ultime elezioni legislative.

Incertezza politica che è lo specchio diretto di una crisi economica e sociale che Tunisi non è riuscita ad affrontare in quasi dieci anni di vita democratica e che sta mostrando le conseguenze più dure nei giorni della visita della ministra dell’interno Luciana Lamorgese al presidente della Repubblica Kaïs Saïed e al primo ministro in pectore Hichem Mechichi sulla questione migratoria.

Fakhfakh, appartenente al partito dell’Internazionale socialista di Ettakatol ma di fatto indipendente, era espressione di una coalizione tenuta insieme da un collante molto debole, quello del governo a tutti i costi.

Al suo interno erano presenti Ennahda, forza politica vicina ai Fratelli musulmani, Nidaa Tounes, partito di ispirazione laica dell’ex presidente della Repubblica Essebsi, e altre quattro forze politiche minoritarie.

Il precario equilibrio politico trovato quasi tre mesi dopo le elezioni del 2019 si è frantumato in neanche sei mesi di governo sotto i colpi del partito islamista.

«A differenza dell’esperienza politica del 2014, oggi Ennahda ha cambiato prospettiva – spiega a il manifesto Vincent Geisser, docente e ricercatore all’Iremam di Aix-en-Provence in Francia – Il partito è passato da una strategia di consenso passivo con le altre forze di governo a uno più attivo che dettasse l’agenda politica, alla luce anche del deludente risultato alle elezioni legislative del 2019».

In queste settimane il partito islamista ha aperto una mozione di sfiducia per un presunto conflitto d’interesse contro Fakhfakh. Mozione bloccata fin dai primi istanti dal presidente Saïed, che ha anticipato l’Assemblea chiedendo le dimissioni del governo.

Mossa strategica, questa, che ha permesso a Saïed di prendere in mano le redini di un’inusuale crisi politica estiva nominando premier Mechichi, già ministro degli Interni sotto il governo Fakhfakh: «Mechichi è un candidato che viene direttamente dal presidente della Repubblica. Si tratta a tutti gli effetti di quello che in Tunisia viene chiamato un servitore dello Stato», prosegue Geisser.

Il nuovo primo ministro avrà ora un mese di tempo per ottenere i 109 voti necessari per incassare la fiducia dall’Assemblea dei rappresentanti del popolo. Se Mechichi ha già ottenuto il parere positivo di Abir Moussi, espressione dell’ex partito di Zine el-Abidine Ben Ali, e di alcuni elementi di Qalba Tounes, forza di opposizione del magnate Nabil Karoui, nella conta manca ancora Ennahda, che sembra avere perso la partita sulla formazione del nuovo governo. Dalle contrattazioni sul peso e sul numero dei ministri voluti dal partito islamista si deciderà la tenuta o meno di elezioni anticipate.

La crisi di governo ha palesato in maniera ancora più netta i problemi endemici del Paese, quelli economici e sociali. Se la pandemia da Covid-19 non ha minato le deboli strutture sanitarie della Tunisia (a oggi sono 1.455 i casi confermati, 50 i decessi), l’impatto del virus sull’economia locale è stato devastante come in tanti altri paesi del mondo.

Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, la contrazione per il 2020 è stimata attorno al 4,3%, aspetto che ha portato lo stesso istituto a elargire aiuti per 745 milioni di dollari. La disoccupazione, stabile al 15,5% dal 2015, è destinata ad aumentare e il blocco del turismo, prima industria del Paese, a causa della pandemia ha minato un’economia già precaria.

In questi giorni, nei media italiani, si è parlato molto dei più di 4mila migranti di origine tunisina sbarcati da inizio 2020. Tuttavia già nel 2019 i tunisini erano diventati la comunità più numerosa a raggiungere l’Italia via mare. Segno, questo, di un disagio sociale figlio di un’instabilità politica incapace di affrontare i problemi strutturali del Paese.