Con la ripresa delle attività dopo l’estate ci si può chiedere quali siano le prospettive a breve dell’economia internazionale. Esaminiamo il possibile andamento solo di alcune variabili, ispirandoci per l’impostazione dell’analisi ad un editoriale di Christian Chavagneux nel numero di settembre del mensile Alternatives Economiques.

Tra le poche certezze dei prossimi mesi c’è quella che il conflitto Usa-Cina, che tanto danneggia le relazioni economiche internazionali, non recederà in alcun modo. Gli Stati Uniti continueranno a non accettare che la Cina prosegua nella sua marcia per raggiungere il primato commerciale, economico, tecnologico mondiale. Ma intanto le imprese Usa continueranno a rafforzare i loro investimenti nel paese.

Un’altra quasi certezza appare quella che da qui a novembre, data della conferenza sul clima dell’Onu, nonostante tutti gli «incidenti» recenti (grandi incendi, allagamenti, temperature fuori controllo, ecc.) nessuna potenza annuncerà piani più ambiziosi per combattere il dato ambientale. E quelli italiani sembrano al momento tra i meno convincenti. Intanto, tra l’altro, le banche europee, mentre si scopre in questi giorni che molte di esse inviano una parte dei loro profitti nei paradisi fiscali, continuano a finanziare generosamente le imprese inquinanti. Ma la conferenza stessa appare comunque alla fine obbligata a dare una risposta adeguata alle gravi questioni aperte.

E veniamo alle variabili più incerte.

Un elemento importante appare l’andamento del Covid-19. La variante delta è riuscita a frenare la ripresa nella Ue, in Usa e persino in Cina, anche se non in maniera drammatica, mentre i prezzi al consumo stanno salendo ovunque, si dice «temporaneamente» forse per quieta non movere. Nell’area euro in agosto i prezzi sono cresciuti al tasso annuo del 3%, cosa che non succedeva da molti anni. Negli Usa i dati sull’occupazione sempre di agosto appaiono negativi, cosa che nessuno si aspettava. Sempre la variante sta intralciando le forniture di merci dall’Asia verso l’Occidente e potrebbe nei prossimi mesi procurare ancora dei guasti.

E veniamo alle politiche economiche.

Per quanto riguarda gli Stati uniti i dubbi maggiori riguardano la capacità di Biden di far approvare dalle due Camere i suoi piani di spesa; essi sono in bilico, oltre che per l’andamento dell’occupazione, per le divisioni tra i democratici e per la caduta della sua popolarità. Inoltre, se essi andranno avanti, bisognerà vederne le conseguenze in positivo sulla crescita economica e in negativo sull’inflazione.

Intanto, riuscirà la Cina a risolvere la difficile equazione tra stimoli ad una crescita che sta rallentando e aumento dei debiti e dell’inflazione che essi potrebbero suscitare? E poi, se e quanto la volontà di domare i grandi gruppi tecnologici e di ridurre le disuguaglianze (si vedrà nei prossimi mesi quali misure concrete verranno prese in proposito) produrrà comunque un rallentamento? Per altro verso, il varo del 14° piano quinquennale comporta rilevanti investimenti per rinforzare lo sviluppo di lungo periodo.

Nella Ue, una minaccia che graverà sui prossimi mesi è quella di un possibile ritorno alle famigerate politiche di austerità, per le quali si agitano forze importanti soprattutto nei paesi del Nord, mentre i nostri giornali raccontano di un «Draghi cavaliere senza paura», assistito dal fido scudiero Gentiloni, pronto a sconfiggere il drago. Dal Nord ci ricordano intanto che prima di chiedere soldi agli altri, dovremmo cominciare a far pagare le tasse in Italia (sarebbe un miracolo).

Nel quadro europeo acquistano grande importanza le elezioni tedesche, il cui esito influenzerà l’andamento non solo del modello economico di quel paese, oggi per molti versi usurato, ma anche quello dell’intera area della Ue. Il settore industriale appare in difficoltà per i ritardi nei processi di digitalizzazione e di riconversione ecologica, mentre problemi si delineano anche con la Cina, principale partner commerciale. Inoltre, le strette regole budgetarie contrastano con la necessità di grandi investimenti infrastrutturali.

Sulle politiche monetarie, le difficoltà sul fronte dell’occupazione negli Usa rimettono in causa, per fortuna, la già annunciata riduzione degli acquisti dei titoli delle banche e delle imprese, mentre l’aumento dei tassi di interesse è rimandato a non prima del gennaio 2023.

Anche il fronte della Bce sembra relativamente tranquillo e dovrebbe restarlo almeno sino al marzo 2022. La politica monetaria sembra rimanere accomodante su tutti i fronti, anche dal momento che le colombe continuano a prevalere sui falchi all’interno del Consiglio.

Intanto gran parte dei paesi africani e dell’America Latina, in difficoltà, continuano a guardare con timore alle mosse delle grandi potenze sui temi economici, sanitari, ambientali, mosse del tutto indifferenti ai loro bisogni.

Comunque, alla fine, registriamo molte domande, molti problemi, poche risposte chiare e convincenti.