Arsenij Jatsenjuk ha chiesto a Francois Hollande e Angela Merkel di aiutare l’Ucraina a chiudere la parte di frontiera con la Russia (circa 400 km) non controllata da Kiev, nelle regioni di Donetsk e Lugansk, i cui territori la Rada suprema ha definito «temporaneamente occupati».

Il giorno precedente, Jatsenjuk aveva dichiarato che il governo inizierà quanto prima la costruzione di una «linea di sicurezza» alla frontiera con la Russia, stanziando la cifra occorrente (circa 40 milioni di dollari) dai fondi di riserva statali e aveva chiesto al Ministero della difesa e a quello delle finanze di anticipare dal 3° al 1-2° trimestre 2015 gli stanziamenti per l’acquisto di mezzi militari. Di fronte a tanta sollecitudine per obiettivi che non sembrano proprio seguire le linee di un processo di pace, c’è da chiedersi quali mezzi finanziari Kiev possa dirottarvi, tenuto conto della situazione economica vicina al tracollo. Tanto vicina che nei giorni scorsi, alla Rada, il deputato del partito ultranazionalista Svoboda, Mikhail Golovko – certamente non spinto da preoccupazioni pacifiste – ha chiesto né più né meno che le dimissioni dello stesso Jatsenjuk per «incompetenza come capo del gabinetto dei ministri» e ha proposto che si ponga all’ordine del giorno un cambio di governo.

Non sono nati ora i conflitti intestini tra le forze nazionaliste e apertamente fasciste che, dentro e fuori la Rada, sostengono il governo e la sua politica di confronto armato con le regioni separatiste del Donbass, ma è probabile che il precipitare della situazione economica e il drastico peggioramento delle condizioni di vita della larghissima maggioranza della popolazione, sia accompagnato da una crisi sociale interna che potrebbe mettere in seria difficoltà, anche di fronte ai suoi sponsor occidentali, l’attuale dirigenza ucraina. Se in passato si è assistito, a Kiev, alle dimostrazioni dei battaglioni neonazisti, scontenti della politica a loro dire «accomodante» del presidente Poroshenko nei confronti del Donbass, non è escluso che si possa ora andare incontro a una sorta di edizione ucraina della «crisi del fascismo», allorché quello che è stato il suo relativo «consenso di massa» (nelle regioni occidentali del paese) si trasformi in legittime proteste di carattere rivendicativo, anche semplicemente contro il prezzo del pane aumentato di quasi sei volte. E non mancano nemmeno lotte interne tra le stesse formazioni neonaziste, come accaduto nei giorni scorsi con la filiale locale di Pravij sektor a Zaporozhe, per accaparrarsi il controllo su alcune industrie locali.

Ma la guerra è guerra e non sono pochi coloro che vedono negli accordi di Minsk dello scorso 12 febbraio solo un’ulteriore possibilità di rimettere in sesto l’esercito e prepararlo a una nuova offensiva: secondo l’intelligence del Donbass, alcuni concentramenti di forze governative potrebbero preludere a un attacco nel giro di due settimane. E non sono quindi del tutto casuali le notizie di ieri a proposito dei militari britannici che hanno già iniziato l’addestramento dei soldati ucraini e degli istruttori Usa che si occupano della preparazione della Guardia nazionale di Kiev. Per quanto riguarda i consiglieri di Sua maestà, la cui missione era stata annunciata la settimana scorsa dal primo ministro David Cameron, un contingente di 35 istruttori sarebbe già di stanza a Nikolaev, dove rimarrà due mesi. La preparazione di circa 800 Guardie nazionali ucraine da parte statunitense, è stata confermata l’altro ieri nel corso di una conversazione telefonica tra Petro Poroshenko e il vice presidente Usa Joe Biden, mentre per fine mese si attende l’arrivo dei primi veicoli militari forniti a Kiev dagli Stati Uniti.

Non si è fatta attendere la reazione di Mosca; il Ministro degli esteri Serghej Lavrov ha detto che Washington sta incitando Kiev a uno scenario di guerra.