No, non è ancora economia di guerra e da Versailles Draghi ci tiene a specificarlo. Però non siamo neppure lontanissimi da quel passo, anzi «bisogna essere pronti» ma senza dare per scontato che sarà necessaria, «altrimenti avremmo già il razionamento». Il premier italiano, in conferenza stampa, parla del suo Paese ma i richiami all’Europa sono continui. Mai come in questo momento la sorte dell’Italia e quella della Ue sono indistinguibili. Il problema di diversificare le fonti energetiche è per tutti essenziale e va affrontato insieme.

Per passare alle rinnovabili a passo di carica bisogna mettere mano non solo ai regolamenti italiani ma anche a quelli comunitari, che sono l’ostacolo principale quando si passa all’altra nota dolente, il comparto agro-alimentare. Dipende dall’Europa anche una delle principali misure su cui conta l’Italia per calmierare le bollette: il tetto al prezzo del gas a metrocubo. Il premier introduce un altro capitolo, in materia di rincari energetici: bisogna distinguere il mercato dell’energia elettrica prodotta dal gas e quello dell’energia da rinnovabili. La prima costa molto più della seconda ma nelle bollette i prezzi sono equiparati. E questa, secondo Draghi, «è la causa principale della lievitazione delle bollette». Infine la proposta di tassare i profitti extra delle società elettriche. Si tratta di un vecchio cavallo di battaglia del premier italiano ma ora è stato fatto proprio anche dalla Commissione e «molti Paesi pensano di perseguire questa strada».

L’Europa è chiamata in causa anche sull’altro fronte: la mancanza di grano tenero e mais, le materie prime scarseggianti. Bisogna rivolgersi a Paesi diversi dalla Russia: per l’agroalimentare Usa, Canada e Argentina mentre per gas e petrolio la caccia è aperta. Significa intrecciare nuove relazioni commerciali e anche per questo, come per tutto dal Patto di stabilità alle leggi sugli aiuti di Stato, dal rifornimento di prodotti agricoli a quello dell’energia, è necessario «rivisitare temporaneamente le regole» e Draghi assicura che la Commissione ne è consapevole.

Della prima e più urgente «rivisitazione», il varo di un Recovery bellico basato su eurobond, per ora non si è parlato. Draghi stesso ha evitato di porre la questione. Sarà la commissione a fare una proposta. Per l’Italia, che ha già sborsato 16 miliardi per fronteggiare la crisi energetica prebellica, è questione sostanziale, non solo perché le famiglie hanno bisogno di sostegno ma perché altrimenti le aziende costrette a chiudere si moltiplicheranno. Sul fronte del debito, almeno per quest’anno, l’Italia non corre rischi grazie all’«acquisito di crescita a dir poco eccezionale» dell’anno scorso, cioè ai risultati certi del 2021. Ma la decisione della Bce di non prolungare i tempi degli acquisti del Quantitative Easing e del Pepp, varato contro la crisi Covid, pesa. La Bce ritiene essenziale prima di tutto contrastare un’inflazione per la quale le previsioni vanno dall’«avverso» (5,9%) al «grave» (7%), anche a costo di penalizzare la ripresa. Una decisione che incide proprio su quella ripresa già rallentata da guerra e sanzioni.

Le quali sanzioni, ripete però più volte Draghi, potrebbero diventare più pesanti: anche perché Biden, rivela l’italiano, le ha indicate come la sola alternativa alla guerra. L’Italia, assicura stentoreo il capo del governo per fugare le ultime ombre di quella esitazione iniziale che Washington aveva sottolineato col pennarello rosso, è prontissima a fare la propria parte. Vuol dire che sullo sfondo resta l’ipotesi sempre meno vaga dell’embargo sul gas e petrolio russo. Con annessa vera «economia di guerra».