Un’area incontaminata peruviana è minacciata dalle mire espansionistiche di una multinazionale che si sta muovendo indisturbata con il supporto di un esercito di miliziani senza scrupoli. Ruspe e proiettili sono le armi per sopraffare popolazioni indifese e invisibili agli occhi dell’opinione pubblica.
Di contro, un gruppo di ecologisti sgangherati pianifica un’incursione per impedire che anche quel pezzo di terra finisca nelle mani degli spietati capitalisti globalizzatori. Il piano è di penetrare nel campo nemico e filmare con gli smartphone quello che sta accadendo per diffonderlo in diretta streaming, in modo da suscitare l’indignazione di tutto il mondo e un’azione concreta da parte delle istituzioni internazionali.
Questo, più o meno, è l’antefatto di The Green Inferno, con la verosimiglianza che è stata immediatamente accantonata sin dai titoli di testa. Ma, soprattutto, fin qui il film diretto dal regista di culto Eli Roth, presentato al Festival di Roma due anni fa, ancora sotto la direzione di Marco Muller, non avrebbe meritato il divieto ai minori di diciotto anni che la commissione censura ha prontamente inflitto, per la gioia di chi sa che tutto ciò fa comunicazione e rende profitti quando si passerà dalle sale poco remunerative ad altro tipo di distribuzione (homevideo, Internet).

E dunque per quale motivo una censura così pesante? Perché i nostri giovanotti dopo la missione, da eroi salvatori del pianeta, quantomeno di una piccola porzione, si trasformano in nutrimento degli abitanti di quel minuscolo territorio dove evidentemente un’alimentazione più sana non ha ancora fatto breccia.
Altro che vegetariani o vegani, altro che diete equilibrate e gallette di riso, gli indigeni cannibali, forse inconsapevoli dei guai provocati dalle carni rosse e dal colesterolo alto, il gruppetto di ecologisti se lo mangia ben condito.

A parte qualche immagine un po’ cruda, si perdoni il facile gioco di parole, il film resta al di sotto delle attese. Un paio di occhi ingoiati e qualche arto masticato senza aspettare una cottura adeguata può essere diseducativo per chi ha il vizio di mangiare in fretta e furia, ma non produce altri effetti sgradevoli, se si pensa a un pubblico che ormai è assuefatto a ogni tipo di orrore e, dunque, di immagine. E il citazionismo a uso e consumo di critici eccitati da tanto sangue e carni tagliate non pare sufficiente a dare un vero e proprio respiro pop a un lavoro che finisce per colpire solo il cuore dei Deodato dipendenti. E forse anche questi dovrebbero rimpiangere un modo più sperimentale di filmare l’orrore.

Altro discorso bisogna fare riguardo alle vittime di tanto appetito. Dipinti come dei giovani radical chic, pronti a intraprendere qualsiasi battaglia pur di non annoiarsi sui libri universitari, si prova quasi gusto a vederli maltrattati e poi divorati, non dallo stress quotidiano, ma da chi si presumeva dovesse stare dalla loro stessa parte. Tuttavia, è proprio in questo sviluppo narrativo che invece si dovrebbe provare un fastidio più profondo rispetto a una gamba tagliata con un machete o a una testa esposta al popolo (scene che peraltro in televisione vediamo quotidianamente senza alcun divieto, ad esempio in The Walking Dead e Game of Thrones). Non è così lontano il ricordo di come una certa stampa di destra, e non solo, ha rappresentato Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti rapite in Siria e poi rilasciate.
Ben lontani dal voler accusare il film di Roth di scarso senso etico (è pur sempre cinema!), forse The Green Inferno cavalca con troppa semplicità l’idea che certe cause non possano essere portate avanti da chi appartiene probabilmente solo per eredità a una classe sociale dominante o da chi non è poi così pronto all’azione e rischia di essere messo in pasto all’opinione pubblica.