Jules Yaméogo lavorava come agente forestale nel villaggio di Nassougou, provincia di Gourma. A marzo è stato ucciso da un commando di probabile stampo jihadista. Nel saheliano Burkina Faso, le foreste – non certo lussureggianti – sono preziose come la pupilla dell’occhio, e così le guardie forestali: adesso a Nassougou sono protette dall’esercito.

Il terrorismo sedicente islamico è un’emergenza recente nell’ex Alto Volta, ribattezzato Paese degli integri ai tempi della rivoluzione degli anni 1980 guidata da Thomas Sankara, poi ucciso nel 1987 in un golpe ordinato da Blaise Compaoré. Quest’ultimo è stato

allontanato dal potere nel 2014 grazie alla rivolta popolare non armata di milioni di burkinabè.

Attualmente, il ministro dell’ambiente, dell’economia verde e dei cambiamenti climatici è Batio Nestor Bassierre. Lo incontriamo a margine del summit internazionale sull’agroecologia promosso nei giorni scorsi dalla Fao.

Signor ministro, lei ha dichiarato che la politica ambientale e agricola del Burkina Faso considera Thomas Sankara un riferimento ideale e pratico.

Certamente. Ora si parla molto di agroecologia come ricetta, ma già negli anni 1980 Thomas Sankara la individuò come soluzione in questo paese poverissimo e arido. Chiamò Pierre Rabbi, un francese di origine algerina (attualmente animatore del movimento Colibrì, ndr), per elaborare una strategia nazionale che in pochi anni fece fare grandi passi avanti anzitutto nel campo dell’autosufficienza alimentare. Furono creati centri di formazione per l’agroecologia, adesso ne abbiamo uno nell’est, un altro nel nord a Gorom Gorom e uno nella zona di Bobo Dioulasso. Oltre 100mila contadini sono stati formati. Rabbi è tornato in Burkina e ha visitato il villaggio Beta, comune di Ziniaré, dove gli agricoltori hanno rinverdito il deserto. Beta è fra i nostri primi ecovillaggi.

Avete un piano che prevede entro il 2020, la conversione di almeno 2.000 villaggi – circa 4 milioni di abitanti – a una gestione armoniosa del nostro ambiente ecologico, economico e sociale, nel rispetto delle culture locali e come pratica di resilienza contro il caos climatico, per sopravvivere e per evitare l’emigrazione. In Occidente il termine «ecovillaggio» ha forse un connotato meno emergenziale….

L’anno scorso in occasione della 23esima giornata di lotta contro la desertificazione, ho visitato il «villaggio modello» di Rawilgué, inserendolo nell’elenco degli ecovillaggi in grado di ispirare il nostro piano. A Rawilgué ogni famiglia ha creato piccole strutture per trattenere l’acqua, impianti di compostaggio e vivai per la crescita di alberi utili dalla cui vendita si ricava un reddito. C’è un bosco di 3 ettari e il taglio della legna è vietato. Le difficoltà non mancano, ma non facciamo mancare il nostro appoggio. Per il nostro piano di 2.000 ecovillaggi, ne abbiamo scelti 13 pilota, uno per ogni regione. Se si vuole preservare l’ambiente, è vitale farlo nel quadro della lotta alla povertà: affrontando i problemi della popolazione, prima di tutto rurale. Il benessere deve essere al centro. Quindi si tratta di sostenere progetti nel campo dell’energia, dell’agricoltura, della gestione dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari, della produzione di occupazione e reddito. Sono coinvolti diversi ministeri e comitati tecnici ai vari livelli, nazionale, regionale, comunale e di villaggio. Lo Stato deve essere presente e investire accanto alle comunità locali, nell’insieme dei settori.

Ma per far ciò trascurerete gli altri villaggi, visto che in Burkina ce ne sono circa 30.000?

Ovviamente no. Non concentreremo tutte le risorse pubbliche su quei 2.000 ecovillaggi. Semplicemente, i finanziamenti con i partner e con il Fondo verde internazionale, per esempio per l’elettrificazione sostenibile, inizieranno da quelli. Prevediamo anche partenariati transfrontalieri. In Lussemburgo, ad esempio, puntano sui «comuni verdi». Si può lavorare parallelamente, con utili scambi.
La strategia nazionale per l’economia verde (Snev) con i relativi piani d’azione, come si possono declinare in un paese particolare come il Burkina Faso? Il documento elaborato dal governo richiama dati sconfortanti. Nel 2008 il costo del degrado ambientale oscillava fra il 18 e il 22% del Pil. Fra il 1990 e il 2010 si è perso il 17,5% della copertura forestale del paese. Nelle campagne l’accesso all’acqua potabile supera di poco il 55% e quello a strutture igienico-sanitarie è intorno al 20%. L’acqua è un problema cronico. I suoli sono degradati. I mezzi finanziari scarsi. E’ evidente che occorre migliorare le condizioni di vita. I suoli sono degradati. I mezzi finanziari scarsi.a un lato, e affrontare i rischi ambientali e la penuria di risorse dall’altro. Utilizzare meglio le risorse e preservarle è condizione indispensabile anche per ottemperare ai nostri obblighi internazionali in materia di controllo dei gas serra e avere accesso a risorse internazionali.

Già: i cambiamenti climatici appaiono nel nome stesso del suo ministero. Questo può sorprendere: non si può dire che i burkinabè e i saheliani in generale siano grandi consumisti.

 

Certamente no. Ma da noi il problema è ridurre le emissioni legate al degrado e alla deforestazione, il cosiddetto Redd+. Comunque, tornando all’economia verde in versione burkinabè, puntiamo molto sui prodotti forestali non legnosi e sulla loro trasformazione. Sono tante le specie che si adattano al nostro clima: karité, neem, moringa… I burkinabè producono e trasformano, ma il valore aggiunto è stato finora scarso. Dobbiamo accompagnare i loro sforzi con la ricerca e gli investimenti per il miglioramento delle filiere. Pensiamo all’albero dell’anacardio: dà ottimi frutti proteici e al tempo stesso assorbe anidride carbonica; così, la Banca africana di sviluppo (Bad) ci ha dato 5 miliardi di franchi Cfa. E quanto alla moringa…fra le altre cose, vi si può produrre un olio con proprietà più importanti di quello di argan. E con le foglie, molto nutrienti, già si fanno in Burkina biscotti, tisane eccetera, ma occorre migliorarne anche le possibilità di conservazione e commercializzazione.

Un altro albero miracoloso è il neem, dal quale si traggono fra l’altro agrofarmaci naturali…

Spero che organizzeremo presto un forum internazionale sul neem. È un albero che nasce e cresce allo stato selvatico e a lungo è stato negletto. Finché non si è capito che occorre tutelarlo e rimboschire, altrimenti fra 5-10 anni non ci sarà la stessa produzione. Inoltre il nostro Centro nazionale per le sementi forestali grazie agli innesti arriva a velocizzarne la crescita.

Il Burkina è impegnato in sfide variegate: alcune familiari a ogni contesto sul pianeta, come il flagello della plastica randagia o il contrabbando di specie protette; altre a voi peculiari, l’erosione e l’insabbiamento del Bacino del fiume Niger, frontiera estrema del titanico sforzo che le aree aride del pianeta – abitate da oltre due miliardi di persone – sono costrette a ingaggiare ogni giorno. Come si può fare?

Undici paesi del Sahel sono impegnati nell’Iniziativa della grande muraglia verde per il Sahara (Igmvss). In Burkina i progetti riguardano le regioni del Centro Nord, dell’Est, dell’altipiano centrale e del Sahel vero e proprio. Oggi che nei paesi dell’area ci si è resi conto che piantare semplicemente alberi non poteva funzionare, oggi che le popolazioni sono meglio coinvolte e vedono ricadute pratiche, l’Iniziativa è diventata uno strumento politico efficace. Andiamo avanti.