«Quando intravide la torre per l’estrazione del petrolio sentì odore di bruciato e quello più pungente della polvere da sparo. Poi vide il fumo: proveniva dal villaggio. Saliva, scuro e sinistro, attraverso le cime degli alberi. C’erano corpi senza vita ovunque, massacrati dai proiettili». «Intorno a casa nostra, un metro e mezzo d’acqua copriva strade e giardini, staccionate e cassette delle lettere. Il Nebraska era stato colpito da un’inondazione pochi giorni prima, una singola valanga d’acqua che aveva travolto i pascoli e ritrasformato lo Stato nel mare interno che era un tempo, facendo del mondo un arcipelago di montagne e una distesa d’acqua».

Per Mino l’annuncio della fine è arrivato con un suono che cresceva nella foresta, avanguardia rumorosa delle compagnie petrolifere che per mettere le mani sulla terra non avrebbero esitato a sterminare la sua famiglia. A trasformare per sempre la vita di Myra è stata invece l’ultima inondazione del «Diluvio dei cento anni»: da generazioni si viveva in mezzo all’acqua, ma da quel momento in poi le ultime tracce dell’umanità sarebbero sopravvissute in piccole comunità abbarbicate intorno alle antiche cime delle montagne o in «nazioni» che avevano l’estensione di una nave da crociera.

Gert Nygardshaug

PROTAGONISTI rispettivamente di Inferno verde (Sem, pp. 429, euro 20), dello scrittore norvegese Gert Nygardshaug, e di Terre sommerse (HarperCollins, pp. 430, euro 19), della poetessa statunitense Kassandra Montag, al proprio debutto narrativo, i personaggi di Mino e Myra possono essere considerati indicativi delle tendenze che attraversano da tempo quel filone letterario spesso riassunto sotto l’etichetta di «eco thriller». Un genere che dalla denuncia dei rischi che il nostro modello di sviluppo ha generato per l’ambiente naturale, il clima e l’esistenza stessa di ogni specie, si sta progressivamente intrecciando con gli scenari post-apocalittici di una parte della science fiction, immaginando come la lotta per la sopravvivenza umana si debba giocare in un contesto dove drammatiche trasformazioni sono ormai alle nostre spalle e costituiscono il nuovo habitat «naturale» nel quale si è costretti a vivere. O a sopravvivere.

Philip K. Dick

Uno scenario che rimanda, tra gli altri, a un classico come le Cronache del dopobomba, pubblicato da Philip K. Dick già nel 1965, dove l’astronauta Walt Dangerfield, rimasto bloccato in orbita, trasmette verso la Terra musica e informazioni a beneficio di una piccola comunità californiana sopravvissuta alla catastrofe atomica. Ma che evoca anche la dimensione distopica nella quale appare immerso il mondo in questa stagione di pandemia globale.

Un orizzonte, quello che innesta la riflessione sul rapporto tra uomo e natura nel ciclo della Storia o nella sua possibile dimensione distopica, tra indagine letteraria, thriller e perfino fantascienza cui sembrano aderire molti autori, da Michael Crichton a J.G. Ballard, da Edward Abbey a Marcel Theroux, ma anche alcuni romanzi di John Grisham e Pelle di corteccia di Annie Proulx.

SCRITTA alla fine degli anni Ottanta da Nygardshaug, «il Camilleri norvegese» che si è ispirato al creatore di Montalbano per le indagini del detective Fredric Drum, la storia di Mino affianca alla descrizione di una natura incontaminata e «magica» un’appeal risolutamente politico.

Chico Mendes

Del resto, lo scrittore, già inviato per un giornale di Oslo in Brasile dopo l’assassinio del sindacalista Chico Mendes nel 1988 e che ha vissuto per un periodo con gli indios dell’Amazzonia, ha spiegato come «la violenza ai danni della foresta pluviale e dei suoi abitanti è inimmaginabile. La realtà è molto peggiore di quanto possa raccontare qualsiasi romanzo». Così, se Mino ha solo nove anni e sta «inseguendo una bella feronia attraverso una radura nella giungla. Quel tipo di farfalla, di colore rosa pallido a macchie scure, che aveva la tendenza a posarsi in alto, sui tronchi degli alberi», quando sente per la prima volta il suono della «bestia» che sta abbattendo la foresta, si renderà presto conto che il senso di tutta quella agitazione è racchiuso in una sola parola: «petrolio». Un annuncio di possibile ricchezza per il Paese ma che per la foresta e i suoi abitanti si sarebbe tradotto in un presagio di sventura.

Sopravvissuto alla strage che ha cancellato il suo villaggio, il giovane affronterà altra violenza, la prigionia e le scorribande dei commanderos, mentre pian piano in lui si farà strada l’idea che tutto questo vada fermato, che lo «Zoo di Mengele» – come recita il titolo originale del romanzo riprendendo un’espressione usata da uno dei personaggi riguardo alla manipolazione e alla morte di cose e individui in tutta l’America Latina -, vada cancellato per sempre.

SCOPRIRÀ LA POLITICA, Mino, l’estrema sinistra, sindacati rivoluzionari e anarchici, ma alla fine, insieme ad un pugno di compagni darà vita alla Mariposa, un gruppo armato che porta il nome di una delle più belle farfalle dell’Amazzonia, ma che uccide uno dopo l’altro leader e dirigenti di multinazionali e compagnie commerciali e petrolifere. Condannate dai media e dal potere, «tra la gente normale, gli studenti e le organizzazioni per l’ambiente, le azioni del gruppo rappresentavano il segno che nel mondo c’era qualcosa che non era come avrebbe dovuto essere». Un’ubriacatura romantica per la violenza che non farà perdere a Mino, e al suo creatore, la consapevolezza, emersa durante un’immersione nei pressi di una città sommersa, che «tutto ciò che era scomparso e dimenticato poteva essere ancora trovato da qualche parte».

SE LA VICENDA narrata in Inferno verde riecheggia le gesta dell’«eco-terrorista» protagonista di Zodiac, romanzo del 1988 dell’autore cyberpunk Neal Stephenson, impegnato a contrastare con ogni mezzo gli industriali che stanno inquinando Boston, Terre sommerse fa pensare paradossalmente a Zeitoun, il libro che Dave Eggers ha dedicato ad una serie di eventi reali: le conseguenze sulla popolazione americana dell’11 settembre e dell’uragano Katrina che colpì New Orleans nel 2005. Il protagonista è un siriano-americano che dopo aver fatto i conti con le leggi repressive varate da Bush contro gli immigrati di origine araba, messa in salvo la propria famiglia si impegna per giorni ad aiutare chi ha bisogno di soccorsi, attraversando in canoa la città sommersa.

Kassandra Montag

Allo stesso modo, i personaggi del romanzo di Kassandra Montag, dopo aver superato l’orrore del momento – «quando mi ero affacciata alla finestra, il mio riflesso nell’acqua era sporco e offuscato, come se mi avessero tirata fino ad allungarmi e poi fatta a brandelli» -, inseguono l’idea di poter ricostruire dentro quella nuova e terribile realtà qualcosa che assomigli ad una vita degna di questo nome. Sotto di loro, c’è ciò che sono stati. «Alcune città erano così in profondità che nessuno le avrebbe mai riviste. Altre, che erano state costruite ad altitudini maggiori, potevano essere esplorate con una maschera da sub. I loro grattacieli spuntavano dall’acqua come isole di metallo».

Ma, ammette Myra, che insieme alla figlia Pearl troverà dei compagni di viaggio e avventure per attraversare quella che era stata l’America dal Pacifico all’Atlantico – «chiamavamo ancora gli oceani con i loro vecchi nomi, ma in realtà ormai c’era un unico grande oceano, punteggiato da brandelli di terra» – per cercare la sua primogenita, Row, riparata col padre in una valle non ancora sommersa dell’antica Groenlandia – «un tempo mi tuffavo a pescare in queste città sott’acqua, ma ultimamente lo facevo solo quando ero disperata. Non mi piaceva dover pensare a com’era stato il mondo». Non solo, «non sapevo come parlare a Pearl di ciò che giaceva sotto di noi. Fattorie che avevano sfamato la nazione. Piccole case in stradine residenziali costruite per il baby boom dopo la Seconda guerra mondiale. Frammenti di storia tra le pareti. La storia di come avevamo attraversato il tempo, segnando la terra con le nostre pretese».

IN UN MONDO di sopravvissuti, popolato di corsari che hanno rimpiazzato le gang di strada di un tempo, dove la schiavitù è tornata in auge e dove il baratto è l’unica economia possibile – cinque pesci contro un’arancia -, le cause del disastro sono ormai lontane – il cambiamento climatico o azioni altrettanto irrazionali causate dall’avidità dell’uomo? -, la speranza ha il volto di nuove, piccole comunità di eguali che scelgano di ripristinare qualcosa di simile a quella democrazia, finita come persone e cose sotto la linea delle onde. Solo così le tante vite finite in pezzi potranno infine ricomporsi. «Non sono fatta delle schegge di un bicchiere rotto – riflette in modo paradossale Myra -, ma dell’acqua che ne è uscita. La cosa incontenibile che non si spezza e non resta spezzata». Un mondo è possibile oltre la tragedia.