La scena si svolge nel centro di Zagabria a poche settimane dall’inizio del lockdown dello scorso anno e dopo che un terremoto ha scosso la capitale croata da qualche giorno. Il volto seminascosto dalle mascherine, due donne si osservano a vicenda mentre dai due lati di una strada si dirigono verso i cassonetti della raccolta differenziata. Il tempo di uno sguardo veloce e scoppiano entrambe a ridere. Mentre il mondo sembra sul punto di finire, eccoci qui «a riciclare buste in pluriball separando scrupolosamente la plastica dalla carta», quasi ad «illuderci di avere un briciolo di controllo su questi tempi immondi».

LO SPUNTO è decisamente buffo, ma la sfida che affronta nel suo ultimo libro Ece Temelkuran attiene proprio al «qui e ora» della vita quotidiana, ai gesti cui spesso si dedica un’attenzione superficiale ma che, messi in fila, l’uno dopo l’altro potrebbero essere in grado di cambiare molto se non tutto del contesto nel quale ci muoviamo. Dopo aver denunciato in Come sfasciare un Paese in sette mosse (Bollati Boringhieri, 2019) le tappe che conducono «dal populismo alla dittatura» – il manifesto l’ha intervistata al riguardo il 21 maggio del 2019 -, la giornalista, scrittrice e commentatrice politica turca esamina in La fiducia e la dignità (Bollati Boringhieri, pp. 142, euro 17, traduzione di Giuliana Olivero) quali scelte e atteggiamenti si possono assumere per evitare il peggio e affinché l’umanità intera ritrovi almeno un barlume di speranza collettiva.

COSTRETTA A LASCIARE il suo Paese nel 2011 alla volta di Zagabria dopo essere stata licenziata dal quotidiano Habertürk a causa delle sue denunce nei confronti del regime di Erdogan, Temelkuran collabora con media internazionali quali la Cnn, il Guardian e il New York Times. Se nelle pagine di questo libro, scritto nel pieno della prima difficile ondata della pandemia, lo sguardo si concentra spesso su ciò che le accade intorno, nel contesto del suo esilio croato, l’intento di Temelkuran resta quello di contribuire alla definizione di una sorta di nuovo linguaggio globale: dei codici interpretativi, e per quanto possibile un manuale atto all’azione, che invertano l’apparente inevitabilità del peggio.

L’idea di fondo potrà anche apparire semplice, ma ha in sé qualcosa di straordinario e muove dal bisogno di riappropriarsi di parole accoglienti come «dignità», «partecipazione», «attenzione», ma anche «forza», per contrastare le derive che negli ultimi anni si sono compiute all’ombra di un vocabolario del risentimento e della paura di segno opposto.

DUE LE PRESENTAZIONI che l’intellettuale turca terrà nei prossimi giorni nel nostro Paese: sabato alla Nuvola di Roma nella giornata inaugurale della Fiera della piccola e media editoria «Più libri più liberi» (Ore 13, Sala Cometa, con Francesca Mannocchi) e domenica alle 15 al Circolo dei lettori di Torino nell’ambito del Festival del Classico.