Con lo scontato via libera dei due consigli di amministrazione di Psa e Fca alla fusione ieri è nata ufficialmente Stellantis, potenzialmente il quarto gruppo automobilistico al mondo nel cui capitale figurano lo stato francese, in qualche modo quello tedesco (rimasto dopo l’acquisto di Opel da parte di Peugeout del 2017) e non quello italiano. Facile prevedere chi saprà meglio far valere i propri interessi a partire dalla tutela dei posti di lavoro: 400 mila totali di cui 86 mila in Italia. In sintesi: ai francesi il comando, agli Agnelli i soldi del maxidividendo con cui hanno ceduto la guida del nuovo gruppo.

IN QUESTO QUADRO È COMICA la nota comune dei ministri Le Maire – economia – e Patuanelli – sviluppo economico uscita ieri sera: «Il rafforzamento delle rispettive capacità di innovazione consentirà al nuovo Campione Europeo di svolgere un ruolo chiave verso la transizione verde al centro della nostra strategia di ripresa economica. Entrambi i Governi presteranno attenzione al contributo di Stellantis sull’occupazione industriale in Italia e Francia». Peccato che La Maire avrà voce in capitolo nel cda, Patuanelli parlerà a vuoto come hanno fatto fino ad oggi tutti i governi con Fca.

L’ANTICIPO DEL NULLA OSTA dell’antitrust europeo – con poche condizioni imposte sui veicoli commerciali – ha anticipato i tempi previsti inizialmente da quel 18 dicembre 2019 in cui i due gruppi firmarono il memorandum di intesa. Alla testa del gruppo ci sarà il portoghese Carlos Tavares, già amministratore delegato di Psa mentre John Elkann sarà presidente in un consiglio di amministrazione da 11 componenti con gli ex Psa a prevalere con sei posti contro cinque. La scelta del nome evocativo – Stellantis – è stata presa nel luglio scorso per dare risalto ai tanti marchi del gruppo che rimarranno invariati: Peugeout, Citroen, Opel, Ds, Vauxhall Jeep, Alfa Romeo, Maserati, Ferrari. Una fusione che ha una sua logica su scala globale: Psa è presente in Cina e forte in Europa; Fca in Nord e Sud America.

LA PANDEMIA FINORA ha avuto effetti contenuti sull’accordo: il valore dell’operazione è naturalmente sceso e così gli Agnelli hanno dovuto rivedere le loro esose pretese per il dividendo straordinario scucito a Tavares: è sceso da 5,5 a 2,9 miliardi di euro – che ieri si è scoperto sarà in pagamento già dal 15 gennaio – ma il 46% di Faurecia – azienda di componentistica di Psa in parte già venduta – verrà distribuito a tutti i soci di Stellantis. Fin qui le poche certezze. Da oggi iniziano i tanti interrogativi, primo dei quali il piano industriale che Tavares – il vero capo dell’operazione – dovrà presentare entro l’estate. Nonostante gli incentivi il mercato dell’auto è in tracollo da anni e nessuno sa quale sarà la situazione post-Covid.

LA PROMESSA È QUELLA di mantenere i livelli occupazionali dei due gruppi potendo sfruttare le sinergie che portano a risparmi da 5 miliardi l’anno. È chiaro che si tratta di un trucco, ancor di più considerando gli effetti della pandemia e il fatto che in Italia la piena occupazione Fca non l’ha mai avuta con ammortizzatori sociali decennali per gran parte dei lavoratori. Le cosiddette sovrapposizioni di produzioni sono soprattutto sull’elettrico, settore in cui Psa è molto più avanti di Fca – anche a causa del ritardo imposto da Marchionne che ancora a ottobre 2017 puntava sul metano – e dunque a rischio ci sono soprattutto le fabbriche italiane ora orientate a questa produzione a partire da Mirafiori e la 500 elettrica da poco partita. I sindacati italiani Fim, Fiom e Uilm brindano alla fusione ma sono tutti guardinghi e chiedono a Tavares un confronto. Vedremo se il manager portoghese glielo accorderà.