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Ecco perché non possiamo che definirci «bennisti» impenitenti

Ecco perché non possiamo che definirci «bennisti» impenitentiTony Benn

Red Pepper Il ricordo della rivista della sinistra radicale britannica: considerandolo un pericolo, la classe dirigente ha usato tutti i metodi per distruggerlo

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 marzo 2014

Era inevitabile che la morte di Tony Benn provocasse un generale tributo nei suoi confronti da parte di quell’estabilishment che lo ha sempre ammirato, pur senza essere d’accordo con lui. Ma per noi che invece eravamo concordi con lui, la sua morte significa molto di più.
C’è una fase della lunga carriera di Benn che i commentatori liberali non riescono ancora a digerire: la sua leadership del Partito laburista nei primi anni ’80. Benn è stato accusato di aver diviso il partito con politiche considerate estreme, che sarebbero costate le elezioni del 1983 (secondo alcuni anche del 1987). Per me fu uno dei periodi più coraggiosi e profetici di Benn.

Ero uno dei tanti che in quegli anni sono stato ispirato da Benn a diventare attivo nel Partito laburista e ancora oggi mi considero irriverente come lui, un «bennista impenitente»: quello che abbiamo cercato di fare sotto la sua guida era rimodellare il partito dal basso verso l’alto, per renderlo un efficace strumento di rappresentanza della classe operaia. E mentre siamo riusciti a farlo, siamo arrivati abbastanza vicino a scatenare l’inferno nei confronti della classe dirigente britannica, che ha usato ingenti risorse per distruggere Benn e il movimento «bennista». Il suo coraggio in quei giorni, sotto l’attacco incessante dei media e dei leader del suo partito, è stato esemplare e ha permesso a molti altri di «tenere le posizioni».

Se ci voltiamo indietro, oggi possiamo considerare quel momento come l’alba dell’era neoliberista. La scelta che dovevamo fare era tra la resistenza a quel modello, insistendo sul fatto che ci fosse un’alternativa, o essere accomodanti e concepire la politica di conseguenza. La maggior parte dei parlamentari laburisti e leader sindacali, per non parlare di giornalisti e una parte significativa del Partito comunista, ha scelto di essere accomodante. Benn ha scelto la resistenza, e così facendo si è messo alla testa – con il cuore – di più di trent’anni di aspra lotta per un mondo migliore possibile.

Cruciale nell’appello di Benn era il suo rilancio dell’agenda democratica radicale in un movimento operaio a lungo dominato da abitudini economicistiche e burocratiche. Questa sfida è stata fondamentale, consentendo una nuova prospettiva a sinistra. Tony ha invocato l’eredità dei «Levellers», di Tom Paine, di «Chartists» e suffragette perché riteneva che la democrazia in Gran Bretagna fosse sospesa. Ha sempre sottolineato l’importanza della responsabilità, a ogni livello della vita civile ed economica. Ha insistito sul fatto che i leader di partito debbano essere eletti dai militanti del partito, in un momento in cui questo era considerato prerogativa dei parlamentari e che l’elettorato dovesse avere il potere di rimuovere i parlamentari inefficaci. Nel complesso la sua idea era molto più rivolta a una rinascita della democrazia popolare, espressa in particolare attraverso le attività di sinistra dei consigli locali.
È interessante ricordare come Benn sia arrivato alla sua idea di socialismo radicalmente democratico. Benn fu radicalizzato dalla sua esperienza di governo (anni ’60 e ’70), comprendendo la vasta portata di tutto il cambiamento che stava avvenendo sotto i suoi occhi. Sfidando le convenzioni, più invecchiava, più diventava radicale. E in questo è stato, ancora una volta, un esempio per tutti noi.

Benn ha concretizzato la prospettiva di governo di un’ala autenticamente di sinistra laburista in grado di terrorizzare i poteri che si stavano formando e che hanno provato a colpirlo con ogni mezzo. Ora che è morto, i media non vogliono ricordare come trattarono Tony in quegli anni: venne deriso come un pazzo e definito una minaccia mortale per la società britannica.
Molto di ciò che è accaduto in seguito nel partito laburista può essere visto come una reazione prolungata contro l’insurrezione «bennista»: i cambiamenti nelle strutture del partito, la centralizzazione del potere, l’emarginazione dei radicali, tutte decisioni progettate affinché non ci potesse essere mai più un Tony Benn. Hanno mirato a rendere il Labour un partito rassicurante per il capitale. E ci sono riusciti.

[do action=”citazione”]Negli ultimi anni, il messaggio di Tony è arrivato a sembrare più pertinente di qualsiasi offerta dei sedicenti modernizzatori che lo hanno definito «dinosauro»[/do]

Benn ha avvertito che l’accettazione del neoliberismo da parte di tutti i principali partiti stava creando, come disse «una crisi della rappresentanza». Oggi viviamo le conseguenze di tale crisi. Ecco perché, negli ultimi anni, il messaggio di Tony è arrivato a sembrare più pertinente, più lungimirante di qualsiasi offerta dei sedicenti modernizzatori che lo hanno definito «dinosauro»

Benn è stato uno dei grandi comunicatori moderni della causa socialista. Mirava sempre a chiarire ciò che sembrava oscuro o incomprensibile, per rendere chiaro ciò che era nascosto. Avrebbe potuto descrivere un’ingiustizia con una sola frase. Era concreto, conciso e comprensibile a tutti. E ha rifiutato di essere deviato da stratagemmi mediatici. Certo Benn usava calore, umorismo e generosità di spirito. Il suo era un socialismo del cuore oltre che razionale.
Tutti coloro che hanno lavorato con lui, non possono dubitare di queste qualità.

www.redpepper.org.uk

 

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