proposito dei dati sull’occupazione, «c’è qualcosa che non torna» suggeriscono Paolo Pini e Roberto Romano su «il manifesto» del 4 giugno, sulla base della lettura di alcuni indicatori economici.

Andando nel concreto, poiché in questi giorni si stanno concludendo gli ultimi cinque mesi della C.I.G. in deroga per tutti i settori che non hanno la C.I.G. ordinaria (oltre all’artigianato anche il commercio e non solo), la resa dei conti è la seguente: laddove non scattano i licenziamenti per riduzione del personale, da molto tempo si susseguono in tutti i territori del nostro paese trasformazioni dei rapporti di lavoro full-time in part-time involontari a 3, 4 o 6 ore di lavoro giornaliere.

Quando le aziende avranno dei carichi di lavoro superiori, a questi lavoratori e lavoratrici sarà richiesto di prestare lavoro sino a un massimo di 40 ore settimanali, retribuite tramite la voce «lavoro supplementare» (con una maggiorazione prevista dai contratti nazionali del 10%).

E’ questa una delle tante facce della flessibilità all’italiana, che anche chi redige l’inserto «Sbilanciamoci» dovrebbe indagare, in quanto computando chi è a part-time involontario (oltre un milione di persone in più nell’ultimo quindicennio) si comprenderebbe meglio la vera composizione dell’occupazione complessiva, smontando i castelli di carta sulla sua presunta crescita.