Dovrebbe servire a non farci votare con le leggi elettorali di risulta che abbiamo oggi, quelle disegnate dalla Corte costituzionale. Ma il sistema tedesco che la triplice alleanza Pd-Forza Italia-M5S ha deciso di importare è anch’esso un «Consultellum». Nel senso che è il risultato di successive sentenze della Corte costituzionale federale di Karlsruhe. Il testo depositato ieri sera dal Pd alla camera cancellerà una legge che abbiamo adesso, l’Italicum, quella che secondo Renzi mezza Europa ci avrebbe presto copiato. E invece eccoci qui – eccolo qui – a copiare la vecchia legge tedesca. Copiare male, perché tradotto in italiano il modello tedesco perde molte virtù e aggiunge nuovi difetti.

Difettoso è anche il metodo, lo stesso con il quale il segretario Pd ha imposto tutte le sue riforme: la fretta. La corsa per andare a votare nell’ultima domenica di settembre o all’inizio di ottobre passa per lo scioglimento delle camere entro luglio, per cui i deputati dopo sei mesi di melina dovranno vidimare una riforma che rappresenta un cambio storico di paradigma (dal maggioritario al proporzionale) in pochi giorni. E dovrebbero farlo anche i senatori.

Non basta: per cancellare anche il tempo che da sempre serve al governo e a una commissione di esperti per disegnare i collegi uninominali, il maxi emendamento del relatore Pd Fiano rimanda ai vecchi collegi del Mattarellum. Che però erano quasi il 50% in più di quelli previsti dal nuovo italo-tedesco e soprattutto disegnati sulla base della popolazione di un quarto di secolo fa. Servirà comunque un (altro) decreto elettorale, proprio quello che con una riforma di sistema si voleva evitare. E la delicata operazione di ritaglio dei collegi, che può togliere o regalare vittorie, sarà fatta senza il controllo del parlamento.
Il testo Fiano arrivato ieri sera conferma tutte le attese. L’impianto è proporzionale, con la ripartizione nazionale dei seggi. Ma può essere presentato in campagna elettorale come un maggioritario, grazie alla principale differenza con il modello tedesco: il voto unico (i tedeschi lo hanno abbandonato sessant’anni fa). Tutte le altre differenze sono di sistema, dal fatto che in Germania c’è solo una camera elettiva, alla previsione della sfiducia costruttiva, al ridotto numero di partiti. La ricerca qui in Italia della «stabilità» passa ancora una volta per una scorciatoia sulla legge elettorale. Anche questa è una novità già vista.

Intanto c’è il voto unico, che cancella la tradizione dello splitting, il voto disgiunto, e consentirà a Renzi – come da promessa in direzione – una campagna sul voto utile. Voto che dall’uninominale (303 collegi) si trasferisce al proporzionale (26 circoscrizioni). È lo stesso difetto del «Rosatellum», amplificato dal nuovo divieto di coalizione: ora il candidato all’uninominale può collegarsi a una sola lista.
L’attribuzione dei seggi a livello di circoscrizione (che coincide con la regione, tranne nelle regioni grandi divise in due o in tre) invece è cambiata nelle ultime ore. È tornata la prevalenza del primo vincitore nelle sfide uninominali, poi tocca al capolista delle liste bloccate, poi tutti gli altri vincitori. Che però nel testo non si chiamano vincitori ma «primi del collegio» perché la verità è che non avranno la certezza del seggio neanche battendo gli sfidanti. Una differenza obbligata con il sistema tedesco visto che la Costituzione italiana prevede un numero fisso di deputati e senatori. All’interno delle liste bloccate è rimasto l’obbligo di non rappresentare un sesso oltre il 60% dei candidati, ed è stato recuperato il criterio dell’alternanza uomo/donna. Il che non impedisce di avere tutti capilista uomini.

Ma adesso l’attenzione è sulla corsa. Alla camera non ci sarà la sospensione dei lavori parlamentari che tradizionalmente viene concessa nella settimana precedente le elezioni amministrative (si vota domenica 11). Il testo deve approdare in aula lunedì prossimo, 5 giugno, come confermato dalla conferenza dei capigruppo, riunita per prendere una decisione che la commissione non riusciva a prendere (proteste inutili dei gruppi minori, Mdp, Sinistra italiana e Fratelli d’Italia). Per il lavoro in commissione restano quattro giorni, di cui tre festivi. Ma i deputati vorrebbero evitare la domenica: per i subemendamenti è stata fissata la scadenza di venerdì 2 giugno, mattina. In contemporanea con la parata militare.

Si parte in pratica da zero, visto che ieri sera poco prima delle otto è arrivata una legge tutta nuova. Già fissate le prossime tappe: da lunedì tre giorni di dibattito generale in aula, e da giovedì votazioni a ciclo continuo per chiudere nella settimana. La presidente Boldrini ha detto di comprendere le ragioni di chi chiedeva più tempo, ma ha preso atto della «larga maggioranza»
Tempi strettissimi eppure indispensabili per rispettare il calendario annunciato da Renzi e dunque approvare definitivamente la legge elettorale nella prima settimana di luglio. Perché il testo a metà giugno dovrà passare per il senato; la triplice alleanza teme prima dell’aula i lavori in commissione dove il presidente, l’alfaniano Torrisi, è un avversario della legge. Renzi non per nulla si arrabbiò moltissimo ad aprile quando M5S e Forza Italia si misero insieme per eleggerlo, al posto del candidato Pd. Solo che adesso forzisti e grillini sono dalla parte del Pd. E tutti insieme, più la Lega, hanno una maggioranza schiacciante anche in commissione.
«Concedere solo due giorni alla commissione è una forzatura inutile e svilente per il parlamento», dice intanto il presidente della commissione alla camera, Mazziotti. Che pure promette di rispettare il termine del 5 giugno. Ma ricorda bene come appena due settimane fa, era il 18 maggio, di fronte a una proposta di calendario del Pd anche più «morbida» – 11 giorni di lavoro in commissione sul «Rosatellum» – Forza Italia e grillini erano saltati su e a forza di proteste avevano guadagnato un rinvio. «Abbiamo impedito la forzatura di Renzi che non voleva concedere qualche giorno alle opposizioni per esaminare il testo», diceva lo stesso capogruppo M5S per il quale adesso due giorni vanno benone: «Lavoriamo anche il 2 giugno». La festa della Repubblica.