Finalmente, dopo mesi di semi-occultamento, possiamo leggere sul sito Roars.it le carte dell’autonomia differenziata attualmente in discussione al governo. Tra le competenze richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, la più ingombrante e controversa è quella dell’istruzione: un capitolo sostanzialmente immutato rispetto alla versione delle bozze del febbraio scorso. L’Emilia-Romagna, per ora, chiede principalmente la gestione autonoma dell’organizzazione della rete scolastica, la programmazione della dotazione degli organici e la realizzazione di un sistema integrato di istruzione secondaria di secondo ciclo e formazione professionale, per «sviluppare competenze in coerenza con le opportunità occupazionali del territorio e le professionalità richieste dalle imprese». Le bozze del Veneto e della Lombardia, da parte loro, rappresentano l’avanguardia più aggressiva di quella controriforma in atto da oltre 30 anni e terminata con la Buona scuola.

Il disegno lombardo-veneto si concretizza in due articoli (10, 11 bozza lombarda e 11, 12 bozza veneta -rispetto alla prima versione sono aggiunti i dettagli delle procedure di trasferimento di tutto il personale da Stato a Regione). In essi si sintetizza con estrema coerenza un modello culturale e di governance che trasforma definitivamente la scuola in «azienda locale», in «ente funzionale», in «servizio al cittadino» da ottimizzare e integrare nel territorio. Per fare questo è necessario intervenire su tre punti.

Primo: controllare ciò che si insegna e come lo si insegna, attraverso piani educativi appositamente redatti e gestione della formazione dei docenti e dell’alternanza scuola-lavoro. Secondo: controllare come si valuta ciò che si è insegnato e appreso, attraverso un sistema di comitati e nuclei di valutazione, di nomina squisitamente politica, oltre a eventuale uso di ulteriori indicatori tipo Invalsi, legati alla specificità territoriale. Terzo: intervenire sui rapporti di lavoro, scardinando l’orizzontalità e la collegialità che ancora sopravvivono nelle scuole; riorganizzandoli secondo criteri gerarchici di tipo aziendale, garantiti dal transito immediato nei ruoli regionali dei dipendenti degli uffici scolastici territoriali e dei dirigenti scolastici, messi a guardia del sistema. «Premi e punizioni», salario accessorio per i docenti in funzione del grado di obbedienza e adeguamento al modello di istruzione desiderato. L’«ottima scuola» regionalizzata non è un’ipotesi previsionale, esiste già. È attuata con piena efficienza dalla regione Trentino, si appresta a divenire il modello della Regione Friuli (Italia Oggi, sei luglio 2019) e potrebbe diventarlo per qualsiasi regione intendesse farlo proprio, in quella che prevedibilmente sarà la corsa all’accaparramento di ulteriori poteri da parte dei restanti governatori regionali.

Mettere le mani sulla scuola fa gola a tutti. Controllare la scuola significa infatti controllare la formazione della cultura e della conoscenza di generazioni di studenti, indirizzare il mercato del lavoro regionale. Da qui l’enfasi sullo studio della lingua e della storia locali, sull’alternanza scuola – lavoro, sull’apertura al territorio. Ad esempio, in provincia di Trento l’autonomia statutaria (legge 5/2006) consente l’ingresso di soggetti privati nei consigli di istituto e definisce organi collegiali inediti (consulta degli studenti e dei genitori), a garanzia di quel «protagonismo civico» che fa della scuola il centro in cui ricomporre libertà delle famiglie ed esigenze di imprese e portatori di interesse.

Le bozze del 16 maggio non lasciano scampo. Il ministro Bussetti, titolare della competenza sull’istruzione, ha deciso di fare carta straccia dell’intesa sindacale siglata il 24 aprile, di ignorare appelli, assemblee e mobilitazioni, di non prendere in considerazione pareri autorevolmente contrari. Il destino della scuola sarà nelle mani di un parlamento che continui a credere in un progetto unitario e nella capacità dei sindacati di ingaggiare un conflitto che mobiliti tutti i lavoratori: di ogni settore coinvolto.