Il giorno dopo lo shock degli arresti, delle perquisizioni e del sequestro dei milioni di schede, il governo catalano non arretra. A metà pomeriggio, il presidente della Generalitat Carles Puigdemont ha diffuso con un tweet il sito – registrato all’estero – in cui trovare le informazioni sull’ubicazione dei seggi del primo ottobre, giorno in cui nelle sue intenzioni si dovrebbe tenere il referendum per l’indipendenza.

IL SEGNALE non potrebbe essere più chiaro: l’esponente nazionalista vuol far sapere che nei suoi piani nulla è cambiato, la consultazione dichiarata illegale dalla Corte costituzionale si terrà lo stesso, la sua amministrazione è pronta. A parziale rettifica, forse, di quanto si era lasciato sfuggire in mattinata il suo numero due alla guida dell’esecutivo regionale, il leader di Esquerra republicana Oriol Junqueras, che aveva ammesso che l’operazione di polizia del giorno precedente aveva «alterato le condizioni del referendum».

Per mostrarsi ulteriormente determinato, in serata Puigdemont ha diffuso un breve messaggio video in cui afferma ancora una volta che il voto ci sarà, «perché abbiamo un piano di emergenza per garantirlo, ma soprattutto perché ha l’appoggio dell’immensa maggioranza della popolazione che è stufa degli abusi del governo del Partido popular».

L’altro terreno su cui ieri si è sviluppata la controffensiva di Puigdemont è quello dell’internazionalizzazione del conflitto, attraverso un articolo sul quotidiano britannico Guardian, pubblicato sull’edizione web, in cui ribadisce le accuse al governo di Mariano Rajoy di aver proclamato de facto lo «stato d’eccezione» in Catalogna. Ma ciò che più conta, nell’intervento del presidente della Generalitat, è l’esplicito appello alla comunità internazionale di «schierarsi al fianco della Catalogna nella sua difesa della democrazia e dei veri valori europei».

GLI INDIPENDENTISTI cercano di trovare una connessione con un’opinione pubblica europea che appoggi la loro parola d’ordine del «diritto a decidere». Finora al di fuori dei confini spagnoli non si registrano prese di posizione, salvo le raccomandazioni di prudenza che qualche ministero degli esteri – come quello tedesco – sta facendo ai propri connazionali che si trovano in vacanza a Barcellona. Durante tutta la giornata di ieri nella capitale catalana ancora proteste, in particolare di fronte alla sede del tribunale. Un fatto che ha spinto il Csm spagnolo a intervenire per chiedere che finiscano le intimidazioni ai magistrati.

A Madrid qualcosa si è mosso dopo mesi in cui il Pp del premier Rajoy si rifiutava di compiere qualunque gesto di dialogo con il fronte secessionista.

SU INIZIATIVA DEI SOCIALISTI del Psoe si è attivata una commissione parlamentare per lo studio di una possibile riforma del sistema delle autonomie, cioè dell’impianto con cui la Costituzione spagnola del 1978 regola i rapporti fra lo stato e le regioni. Gli unici contrari, quelli di Ciudadanos, arroccati nel loro ultra-centralismo, quasi più estremo di quello dei popolari. Sulla volontà reale del Pp di procedere verso un assetto federale della Spagna c’è poco da scommettere, ma è comunque un timido segnale che l’immobilismo è forse dietro le spalle.

RAJOY E I SUOI – che governano in minoranza – hanno dovuto battere un colpo anche perché nelle prossime settimane devono cercare i voti in parlamento per l’approvazione della legge di bilancio: contavano sull’appoggio dei nazionalisti baschi del Pnv che, dopo gli eventi di questi giorni, hanno congelato il proprio sostegno.

Nel mondo socialista è da registrarsi una presa di posizione più coraggiosa di quella ufficiale dei vertici: la federazione giovanile del Psoe, insieme all’omologa organizzazione dei socialisti catalani, si è espressa in maniera (prudentemente) critica nei confronti delle azioni repressive.

GLI SFORZI MAGGIORI per superare l’impasse ed evitare che la situazione peggiori ulteriormente continuano ad essere quelli di Podemos. Domenica è convocata, su loro iniziativa, una grande assemblea a Saragozza di tutti i consiglieri comunali e regionali e dei parlamentari, di qualunque movimento politico, che condividano la prospettiva del dialogo e del rifiuto della scelta repressiva. A oggi si contano le adesioni di tutte le forze collocate a sinistra del Psoe e di tutti i partiti nazionalisti, non solo catalani.

A testimonianza della criticità del momento, è giunto però l’inaspettato rifiuto da parte dell’amministrazione provinciale di Saragozza a concedere i locali in cui è previsto che si svolga l’incontro. Motivo: «Può risultare un’iniziativa a sostegno del referendum». E quindi potrebbe, in linea teorica, entrare nei radar del magistrato che sta conducendo le indagini sullo svolgimento della consultazione. Ovviamente, dal partito di Pablo Iglesias la risposta non si è fatta attendere: «L’assemblea la faremo lo stesso».