«Con la presidente Finocchiaro e altri volenterosi riformisti abbiamo percorso l’ultimo miglio. Ci manca solo l’ultimo millimetro e poi si parte per cambiare finalmente questo paese». Nel pomeriggio romano, mentre i senatori aspettano gli emendamenti dei relatori al disegno di legge costituzionale del governo, e tutti gli altri aspettano Italia-Costarica, arriva la benedizione di Roberto Calderoli. Il leghista ha già «cambiato questo paese» almeno un altro paio di volte, con la «Devolution» e con il «Porcellum», e poi c’è stato bisogno di cambiare i cambiamenti. Calderoli è uno dei padri del nuovo testo di riforma, qualsiasi cosa questo voglia dire; è stato il suo via libera all’elezione indiretta del senato – ottenuto in cambio di una retromarcia del governo sul Titolo V – a mettere Forza Italia di fronte al prendere o lasciare. L’allontanamento dalla commissione dei senatori contrari (Mauro e Chiti) ha fatto il resto. Berlusconi ha deciso di prendere.

Il compromesso individuato dai relatori – Finocchiaro e lo stesso Calderoli – è quello noto ormai da qualche giorno: cento senatori, 74 dei quali consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal presidente della Repubblica; il senato non darà la fiducia al governo ma conserverà competenze legislative limitate (costituzionali, trattati europei, leggi quadro su regioni e enti locali) insieme a non ancora definiti compiti di controllo («verifica l’attuazione delle leggi dello stato, controlla e valuta le politiche pubbliche»). Restava un’incertezza sul capitolo più delicato, quello del metodo di scelta dei senatori: la soluzione è il classico rinvio. Perché al di là del punto fermo che i senatori saranno scelti da, e tra, i consiglieri regionali e i sindaci (in numero proporzionale alla popolazione regionale), resta l’incognita del metodo. Forza Italia vuole che sia fatta pesare la reale forza regionale dei partiti, e non il numero dei consiglieri eletti perché sono in grande maggioranza di centrosinistra in virtù di leggi elettorali maggioritarie. Risultato: «Con legge approvata da entrambe le camere sono disciplinate le modalità di elezione dei membri del senato tra i consiglieri regionali e i sindaci». Se ne riparlerà.

Ma intanto l’asse Renzi-Berlusconi continua a difendere la soluzione ultra maggioritaria per l’elezione della camera, cioè lo schema dell’Italicum. Tant’è che sempre ieri la ministra Boschi ha avvertito il Movimento 5 Stelle che il contraente fondamentale del patto resta Forza Italia: «Non si parte da zero», dice la ministra delle riforme confermando l’appuntamento del Pd con i grillini (mercoledì), ma rifiutando già il sistema proporzionale simil spagnolo e con alte soglie di sbarramento che piace a Grillo. Il punto di caduta sulle riforme – per Renzi «un ottimo punto di arrivo» – si è raggiunto tenendo dentro Berlusconi e il Pd non cerca di mollarlo in corsa per sostituirlo con gli imprevedibili 5 stelle. Anche se è l’ex Cavaliere che adesso chiede di cambiare il già invecchiato Italicum, tant’è che Boschi lascia aperta la porta al sacrificio delle liste bloccate: per le preferenze come alle europee, o per l’uninominale come nel Mattarellum.

Per il resto i venti emendamenti dei relatori, anticipati senza alcuno scrupolo da palazzo Chigi nel pomeriggio, affidano ai senatori non più la rappresentanza della nazione (riservata ai deputati) ma delle «istituzioni territoriali». Confermano la corsia preferenziale per le leggi del governo, non aboliscono le circoscrizioni estere che pure hanno dato pessima prova, rendono più difficile la presentazione delle leggi di iniziativa popolare senza prevedere un obbligo per il parlamento di discuterle. La novità principale è la previsione di un giudizio di legittimità da parte della Consulta prima della promulgazione delle leggi, ma solo delle leggi elettorali nazionali e su ricorso di almeno due quinti dei deputati o dei senatori. È un primo passo, che avrebbe certamente fermato la legge elettorale di Calderoli nel 2005 e non nove anni (e tre parlamenti) più tardi. Calderoli però è il più contento, protagonista nei lanci di agenzia serali più del capitano del Costarica. Renzi un po’ mastica amaro. «La Lega adesso prova a mettere la sua bandierina. Facciano pure, se hanno bisogno di visibilità. A noi interessano le riforme», dice, ma è stato proprio lui a gestire il dossier senato come argomento di campagna elettorale.

Calderoli però le bandierine le ha piazzate sul serio: «Dulcis in fondo i principi del federalismo fiscale entreranno in costituzione», scrive. E chiarisce: «L’autonomia delle regioni viene rafforzata». Il governo in realtà partiva dall’esigenza opposta, evitare i tanti conflitti di competenza. Per questo ha deciso di eliminare la legislazione concorrente, trasferendo però quasi tutto alle regioni: territorio, mobilità, infrastrutture, programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali… Materie da rivedere in aula. Ma da approvare, secondo Renzi, entro luglio.