Le prime consegne alle regioni dei nuovissimi farmaci antivirali contro il Covid-19 sono attese per oggi. Inizialmente riguarderanno il Lagevrio prodotto dalla Merck, nome commerciale del principio attivo molnupiravir. A qualche settimana di distanza arriverà anche il Paxlovid, prodotto dalla Pfizer, a base dell’ancora più impronunciabile PF-07321332. Non si acquisteranno in farmacia per il momento, risparmiandoci imbarazzanti scioglilingua al bancone.

«NE ASPETTIAMO circa quindicimila dosi all’inizio di gennaio» spiega Nicola Magrini, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco a proposito del farmaco Merck. Poche, in un periodo in cui si superano i centomila casi giornalieri. «Almeno inizialmente saranno indicati solo per le persone a rischio, che devono assumerlo nei primi quattro o cinque giorni di sintomi per prevenire la forma grave della malattia: pazienti fragili per età, peso o altre condizioni di salute. Saranno i medici curanti a indicare quelli a cui destinare il farmaco e si sta ancora riflettendo sul modo più efficiente di distribuirlo».

I farmaci anti-virali dovrebbero compensare la perdita di efficacia degli anticorpi monoclonali. Tra i cinque anticorpi disponibili in Italia, solo il sotrovimab mantiene qualche efficacia contro la variante Omicron. Gli antivirali, che bloccano la replicazione nelle cellule, agiscono su parti del coronavirus che non sono mutate tra una variante e l’altra. Anche l’efficacia del molnupiravir però è limitata. Dopo aver annunciato in ottobre un’efficacia del 50%, un mese dopo l’azienda ha aggiornato i dati e abbassato la riduzione del rischio di ricovero al 30%, un risultato in ogni caso da confermare visto che si basa su un test in cui solo 700 pazienti lo hanno assunto.

L’ALTRO, IL PAXLOVID della Pfizer, è in realtà un cocktail di PF-07321332 e ritonavir (un antivirale usato da decenni contro Hiv e epatite C). In questo caso i test hanno riguardato duemila pazienti, divisi equamente tra farmaco e placebo. Con risultati assai più promettenti: la riduzione del rischio osservata è stata dell’89%. «Il Paxlovid sarà disponibile non prima della fine di gennaio, in un quantitativo certamente inferiore alle centomila dosi», spiega Magrini. Mentre le agenzie regolatorie di Usa e Regno Unito hanno già approvato i due farmaci, all’Ema il dossier è ancora in fase di valutazione.

DIVERSI STATI, ITALIA COMPRESA, stanno però procedendo in autonomia con autorizzazioni nazionali per non rischiare di farsi sfilare le dosi, scarse in questa fase iniziale. Sono ancora in rodaggio le linee di produzione industriale, che potrebbe riguardare anche l’impianto Pfizer di Ascoli Piceno. Ma la penuria è determinata soprattutto dalla corsa alla dose scatenata dagli annunci aziendali, visto che per ora mancano vere e proprie pubblicazioni a disposizione della comunità scientifica.

Fa gola soprattutto il Paxlovid. Il governo Usa riceverà 10 milioni di trattamenti nel 2022, il Regno Unito quasi tre, la Germania uno. L’Italia per ora ne ha ordinate 200mila confezioni, per poco più di cento milioni di euro. Più disponibile il molnupiravir, soprattutto dopo la doccia fredda dei dati sull’efficacia, inferiore alle previsioni, che ne ha abbassato la domanda. Se la struttura del commissario straordinario Figliuolo ha prenotato solo 50 mila cicli per circa 30 milioni di euro, la Francia ha preferito annullare l’ordine iniziale: la Haute autorité de santé francese non ha approvato il farmaco Merck segnalando «risultati di efficacia peggiori rispetto ai trattamenti disponibili» e un impatto sulla carica virale «che rimane non dimostrato».

COM’È PREVEDIBILE quando la domanda supera l’offerta, i farmaci hanno costi molto elevati. Per il Paxlovid, il governo Usa verserà alla Pfizer circa 530 dollari a trattamento. Grazie al vaccino anti-Covid, l’azienda è già diventata la maggiore industria farmaceutica del mondo. Agli oltre 60 miliardi di ricavi tra 2021 e 2022, potrebbe aggiungere al bilancio altri 17 miliardi di dollari nel solo 2022 grazie alle vendite del Paxlovid, secondo l’agenzia di analisi del mercato farmaceutico Airfinity.

PER IL MOLNUPIRAVIR, nonostante la scarsa efficacia, la Merck ha fissato un prezzo di circa 700 dollari a trattamento. Tanto: un’analisi dell’università di Harvard e del King’s College dimostra che produrre un ciclo di molnupiravir costa appena 18 dollari. Una volta ottimizzata la produzione, secondo i farmacologi il costo potrebbe scendere addirittura a 4-7 dollari. Valori così elevati – e profitti così ingiustificati – hanno fatto nascere subito la questione dell’accesso alle terapie nei paesi poveri. Per scongiurare ricadute sul negoziato in corso all’Organizzazione Mondiale del Commercio sulla moratoria per i brevetti anti-Covid, la Merck ha annunciato di aver concesso la licenza per la produzione locale del farmaco a costi ridotti a cinque aziende indiane specializzate nella produzione di farmaci generici. Inoltre, l’azienda ha conferito il brevetto del molnupiravir al Medicine Patent Pool, un organismo internazionale che può negoziare la licenza di produzione del farmaco a condizioni favorevoli in circa novanta paesi a basso reddito, mantenendo però un diritto esclusivo per il restante centinaio di paesi ricchi. Merck prevede di ricavare 5-7 miliardi di dollari nel 2022 dalle vendite del farmaco.

SULL’EFFICACIA DEI FARMACI pesa però l’incognita del caos-tamponi. Come gli anticorpi monoclonali, i farmaci anti-virali devono essere assunti nei primissimi giorni dall’insorgenza dei sintomi, dopo aver accertato l’infezione con un tampone molecolare. Per molti pazienti, tuttavia, ottenere una diagnosi in tempi brevi è diventata un’impresa. Se non sarà riorganizzata l’attività diagnostica, con «corsie preferenziali» per i tamponi ai pazienti a rischio di peggioramento, anche questa risorsa sanitaria sarà sprecata.