Chi ha colpito, e per quale ragione, il quarantenne Nathan Graff, di nazionalità israeliana, genero del rabbino Hetzkia Levi, l’altra sera in viale San Gimignano, periferia sudovest di Milano? Si cerca una persona di carnagione chiara e capigliatura bionda, non esattamente l’identikit di un arabo. Il pool antiterrorismo della procura di Milano, aprendo un fascicolo a carico di ignoti per il reato di tentato omicidio, ha escluso l’aggravante dell’odio razziale. Le ipotesi più accreditate, dunque, lascerebbero propendere verso un’azione solitaria, per motivi che non avrebbero a che vedere con l’antisemitismo e neppure con una terza Intifada all’europea.

Ma è evidente che l’aggressione a un uomo con la kippah sul capo e facilmente riconoscibile come ebreo, con tre coltellate alla schiena, una al volto e altre due alla gola e a un braccio, abbiano evocato immediatamente scenari mediorientali o l’azione, non meno esecrabile, di un antisemita di casa nostra.

Si spiegano in questo modo, nonostante i contorni della vicenda e il movente dell’aggressione non siano ancora chiari e non sia arrivata finora alcuna rivendicazione, le reazioni di inquietudine delle comunità ebraiche (che ha chiesto l’immediato potenziamento delle misure di sicurezza, a Milano come a Roma) e le condanne arrivate dal mondo politico (dal premier Matteo Renzi al sindaco di Milano Giuliano Pisapia), nonché dai partigiani dell’Anpi. Il tentato omicidio ha avuto un’eco  forte anche in Israele, dove la notizia ha avuto ampio risalto sui media: fosse accertato il movente politico, si tratterebbe del primo caso di “Intifada dei coltelli” fuori dai confini del paese, in un momento in cui le comunità ebraiche, specie in Francia, lamentano un aumento dell’antisemitismo.
Potrebbero aiutare a far luce sul caso le immagini di una telecamera fissa, quantomeno per capire se l’attentatore era solo o c’era qualche complice a fargli da palo o ad attenderlo in auto. Quello che pare certo è che chi ha colpito lo ha fatto da solo.  Alla moglie, in ospedale, Graff ha raccontato di aver sentito alle spalle i passi di una persona, che ha cominciato a correre per raggiungerlo e l’ha accoltellato, sia da dietro sia in viso per poi puntare al collo. Dalla comunità ebraica milanese hanno escluso che  Graff avesse dei nemici, sia nella sfera privata che in quella del lavoro. La moglie ha avuto meno dubbi: secondo lei si è trattato di «un’aggressione preparata e pianificata, condotta sicuramente da un arabo». Un’accusa che striderebbe con l’identikit dell’aggressore e le ipotesi degli inquirenti,  basate sul racconto della vittima e sulla testimonianza di uno studente israeliano che è intervenuto a soccorrerlo: «Aveva una ferita enorme sulla guancia destra, la camicia sporca di sangue, ho chiamato il 118, ma è rimasto sempre lucido. Un ragazzo che era con me in Questura ha raccontato che l’assalitore si è tolto il passamontagna davanti a lui, ha dato le coltellate in silenzio e si è allontanato senza correre. È magro, altezza media, la pelle chiara e i capelli biondi». Un’azione  premeditata, dunque, se è vero che il protagonista di questa solitaria “Intifada dei coltelli” all’italiana indossava un passamontagna, anche se poi avrebbe fatto l’errore di toglierselo troppo presto.

Il gesto di un folle o di un emulatore? Gli inquirenti non escludono un gesto di «autoesaltazione». Ma la comunità ebraica milanese  propende per l’azione razzista: «Fino ad ora gli elementi emersi tendono a caratterizzarlo come un atto antisemita, visto che l’abbigliamento di Nathan lo rendeva riconoscibile come ebreo ortodosso e viste le modalità dell’aggressione», hanno scritto in una nota. In ogni modo, il Viminale ieri ha rafforzato la vigilanza in tutti i luoghi a rischio: scuole ebraiche, sinagoghe, ambasciata, consolati e attività commerciali.