«Tutto è stato gestito nel rispetto delle procedure». È il mantra che ripetono il governo e il ministro della Sanità Ana Mato, al centro di una colossale bufera per il primo caso di contagio per Ebola fuori dal continente africano. Primo e probabilmente non ultimo, stando alle previsioni della direttrice europea dell’Organizzazione mondiale della sanità Zsuzsana Jakab, che ha classificato come «abbastanza inevitabile» l’eventualità di nuovi contagi nel vecchio continente. Nessun allarme: i rischi di un’epidemia europea sono remoti, ma il caso dell’infermiera spagnola è clamoroso e sconcertante. Non solo per il fatto in sé, ma anche e soprattutto per la catena di errori e di negligenze che lo ha determinato e di cui, finora, nessuno si è assunto la responsabilità.

La ministra Ana Mato
La ministra Ana Mato

Il premier Rajoy lancia appelli non argomentati alla calma, e il ministro della Sanità, di cui l’opposizione reclama la testa, sembra in preda a una confusione ampiamente emersa nell’interrogazione parlamentare di ieri.

La crisi, dunque, non è solo sanitaria, ma anche politica. E lo è fin dal rimpatrio dei due missionari (Miguel Pajares e Manuel García Viejo), contagiati in Africa e riportati in Spagna già gravemente malati a spese dello stato. In entrambi i casi, la decisione del rimpatrio fu presa arbitrariamente dal governo senza render conto né delle motivazioni né di una valutazione (se ci fu) dei rischi sanitari connessi all’operazione. Il senno di poi suggerirebbe che tali rischi furono sottovalutati, considerato che il contagio dell’infermiera ausiliare precaria Teresa Romero, di 40 anni, è avvenuto proprio mentre assisteva García Viejo, deceduto nell’ospedale madrileno Carlos III lo scorso 26 settembre.

La dinamica esatta del contagio non è ancora stata appurata, ma la questione è forse secondaria rispetto alla serie di leggerezze avvenute in seguito, che hanno rivelato tutte le falle del protocollo di prevenzione stilato dal ministero. In queste ore si è appreso che i sanitari venuti a contatto con i missionari (tra cui Teresa Romero) non sono stati sottoposti ad osservazione: l’infermiera contagiata – è uno degli aspetti che più preoccupa – ha svolto una vita nomale per dieci giorni dal momento dell’infezione, venendo a contatto con un numero indefinito di persone. Il personale sanitario era obbligato a controllare la febbre due volte al giorno, ma la decisione di comunicare eventuali anomalie era affidata ai singoli. Pur così, una prima telefonata di Teresa Romero al servizio di [/ACM_2]prevención de riesgos del Carlos III non ha fatto scattare il ricovero, finché lei stessa, il 6 ottobre, cioè 6 giorni dopo la comparsa dei primi sintomi, non ha chiesto spontaneamente di essere ricoverata in ospedale.

Da una parte, quindi, evidenti carenze nel protocollo di prevenzione, dall’altra, però, insufficienze anche nella formazione del personale, che in molti casi – come denunciano i sindacati – ha dovuto prendere decisioni sulla base di corsi di formazione sull’Ebola della durata di 20 minuti. «Solo una trentina di sanitari in tutta Madrid – fa sapere il Sindicato de Técnicos de Enfermería (SAE) – è preparata per far fronte a casi del genere e molti ospedali non dispongono nemmeno delle strutture necessarie per trattare questo tipo di pazienti». In quello di Alcorcón, per esempio, dove Teresa Romero ha ricevuto la prima assistenza, il personale ha dovuto operare in un ambiente non adeguatamente isolato e senza le protezioni richieste dal caso. «Solo nel Carlos III – che ha un reparto specializzato in malattie tropicali – sono stati impartiti corsi di formazione con simulazione di contagi, poi interrotti a causa dei tagli alla sanità», ha denunciato Ugt, uno dei sindacati maggioritari.

Intanto 52 persone sono in osservazione e «altre sei sarebbero ad alto rischio di contagio». Quest’ultimo dato è stato riferito dal rappresentante spagnolo nel corso della riunione del Comitato europeo per la sicurezza sanitaria convocata d’urgenza ieri mattina, in cui sono stati ridiscussi anche i protocolli di sicurezza. Secondo la versione esposta, «potrebbero essersi verificati alcune leggerezze nell’applicazione delle procedure, soprattutto durante la manipolazione del cadavere (di García Viejo, ndr) o nello smaltimento dei residui sanitari». Unica responsabile, dunque, l’infermiera.