I nuovi casi nel Nord del Kivu sono in aumento e la guerra civile ostacola il lavoro dei medici, ma per ora niente emergenza sanitaria. Nel generale disinteresse dei media occidentali, l’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) si allarga e il conto dei morti e dei malati accelera. Il totale parla di 142 morti e 220 casi probabili, cifre ancora lontanissime dalle undicimila vittime dell’epidemia del 2013-2016 in Africa occidentale.

Ma solo nell’ultima settimana sono stati registrati 35 nuovi casi e 24 decessi, facendo svanire l’ottimismo che regnava poche settimane fa all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Visto il peggiorare della situazione, ieri a Ginevra si è riunito il comitato di emergenza dell’Oms. Per ora non è stato dichiarato lo stato di emergenza internazionale per la salute pubblica, che implicherebbe l’adozione di misure straodinarie per gli stati interessati come le restrizioni alla circolazione di persone e merci. Tuttavia il comitato riconosce che la situazione è preoccupante.

Tenere sotto controllo l’epidemia di Ebola si rivela più difficile del previsto. Il virus era comparso per la prima volta in primavera nell’ovest della Rdc, causando 33 morti. La tempestività con cui erano state fornite migliaia di dosi del vaccino (ancora sperimentale ma efficace) e la strategia vaccinale «a anello», cioè vaccinando le persone entrate in contatto con i malati fino a due gradi di separazione, sembravano aver debellato l’epidemia.

Alla fine di luglio, però, un altro ceppo del virus è comparso dalla parte opposta del paese, nella provincia del Kivu Settentrionale, teatro di un conflitto decennale tra decine di milizie che si muovono a cavallo del confine con l’Uganda. Inizialmente, i nuovi contagi erano limitati a meno di una decina a settimana. Poi le cose sono peggiorate.

Solo negli ultimi due mesi, nel territorio di Beni si sono registrati otto attacchi, che hanno causato l’evacuazione del personale inviato dal Center for Disease Prevention and Control statunitense per ragioni di sicurezza (solo Usa e Regno Unito hanno inviato missioni governative, che affiancano le Ong). Le difficoltà per il personale sanitario di isolare i malati, tenere traccia dei loro contatti e distribuire il vaccino preventivo sono aumentate. Di conseguenza, la malattia ha potuto diffondersi più rapidamente.

Per la concomitanza dei problemi, all’Oms parlano di «tempesta perfetta». Il comitato di emergenza ha registrato un aumento dei contagi senza apparente legame con altri malati: segno evidente che la mappatura dell’epidemia è carente e va migliorata. L’Oms lamenta anche la diffidenza delle popolazioni locali nei confronti dei protocolli medici, perché contrastano con l’usanza locale di circondare i familiari malati e di seppellire i morti senza particolari cautele. E ha raccomandato, tra le misure necessarie, l’aumento delle dosi di vaccino disponibili, attualmente prodotte dalla sola azienda farmaceutica Merck che detiene il brevetto sul farmaco. Le vaccinazioni effettuate finora sono circa 18mila, anche grazie ad accordi tra sanitari e miliziani, ma evidentemente non bastano.