Conclusa la vendita di cocaina in Messico, Billy (Dennis Hopper) e Wyatt (Peter Fonda) gettano a terra i loro orologi e si dirigono di nuovo in America, a Los Angeles e poi da lì verso Est: un lungo viaggio on the road con destinazione New Orleans per il Mardi Gras. Con gli orologi si lasciano alle spalle una visione del mondo passato – in tutti i sensi. Un gesto simbolico di libertà che vale tanto per la storia di Easy Rider quanto per l’impatto rivoluzionario di quel piccolo film – le voci sul suo costo variano, Dennis Hopper molti anni dopo in un’intervista all’Actors Studio disse che era costato in tutto 376.000 dollari, sforamento del budget compreso – che non solo incassò cinquanta milioni nei soli Stati Uniti ma fu uno degli apripista della Nuova Hollywood e con essa di una nuova libertà.

UNA STORIA risaputa, ma che a distanza di cinquant’anni non ha esaurito il fascino che emana dai paesaggi – quelli del Western attraversati non da cowboy ma da due «ribelli» in motocicletta – e dal senso quasi ingenuo di rivolta di quel viaggio senza vera destinazione, che concentrava su di sé l’essenza della controcultura e la premonizione angosciante della sua fine, la vertigine della libertà e l’eco di un mondo che libero non sarebbe mai stato. E gli stessi protagonisti non sono mai stati visti dal regista come eroi: «Non stavo cercando di dire che fossero buoni o cattivi, cercavo solo di mostrare che erano esseri umani, e anche molto incasinati».
Ma intanto Easy Rider, nonostante sia pervaso da un continuo senso di catastrofe imminente, si gode «la corsa», accompagnato dalle musiche anch’esse indimenticabili della Band, Jimi Hendrix, i Byrds. E di Bob Dylan, al quale il finale del film – aveva raccontato Dennis Hopper – non era piaciuto e che acconsentì all’uso della sua It’s Alright Ma (I’m Only Bleeding) solo a condizione che la cantasse Roger McGuinn (il frontman dei Byrds), anche se poi compose per Easy Rider un pezzo originale – The Ballad of Easy Rider – o meglio ne scrisse solo il testo per poi dire a Hopper: «Dallo a McGuinn, lui saprà che farne».
In occasione del cinquantennale del film – il 2019 è purtroppo anche l’anno in cui è scomparso, lo scorso agosto, Peter Fonda, anche autore della sceneggiatura insieme a Hopper e – Easy Rider è tornato nelle sale restaurato dalla Cineteca di Bologna, con la distribuzione del Cinema Ritrovato.

L’ANNO in cui uscì era infatti il 1969, quando l’onda lunga dell’estate dell’amore si stava per infrangere sugli anni Settanta, all’apice di un momento irripetibile descritto due anni più tardi da Hunter Thompson in Paura e delirio a Las Vegas – in fondo una versione nichilista del viaggio on the road di Wyatt e Bill: «Quello, credo, era il nostro appiglio, quel senso di inevitabile vittoria contro le forze del vecchio e del male, non in senso violento o cattivo, non ne avevamo bisogno, la nostra energia avrebbe semplicemente prevalso, avevamo tutto lo slancio, cavalcavamo la cresta di un’altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e, se guardavi ad ovest, e con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell’acqua alta, quel punto, dove l’onda infine si è infranta ed è tornata indietro».