Il grande successo conquistato a livello internazionale attraverso la sua produzione animata dallo Studio Ghibli – di cui nel 2020 si è festeggiato il trentacinquennale della fondazione – nel corso della sua storia, è naturalmente dovuto ai grandi capolavori targati Hayao Miyazaki e Isao Takahata come Principessa Mononoke, Una tomba per le lucciole o La città incantata. Ma a rendere speciale l’esperienza artistica uscita dallo studio in questi tre decenni hanno contribuito in maniera fondamentale anche quelle opere considerate «minori» dal pubblico generalista. I sospiri del mio cuore, La ricompensa del gatto, il sottovalutato La collina dei papaveri o ancora Si sente il mare, quest’ultimo realizzato per la televisione nel 1993, sono tutti lavori che rendono unica e forse irripetibile l’esperienza Ghibli.

SI MUOVE su questa linea, almeno nelle intenzioni, anche l’ultimo lavoro realizzato dallo studio giapponese, Aya to majo (Earwig e la strega) trasmesso pochi giorni fa sul canale nazionale NHK, adattamento di un romanzo per ragazzi scritto da Diana Wynne Jones nel 2011. Il lungometraggio è il primo dello studio realizzato interamente in computer grafica 3D e in cabina di regia troviamo Goro Miyazaki che già aveva sperimentato con questo tipo di animazione nel 2014, quando aveva diretto la serie televisiva Sanzoku no musume Ronya (Ronya, la figlia del brigante) coproduzione Ghibli e Polygon Pictures.

L’ATTESA per Earwig e la strega, anche se si tratta di un lavoro per la televisione – e comunque presente nella selezione «fantasma» del Festival di Cannes 2020 – ha ricreato quella magia che nell’arcipelago si produce ogni qual volta esce, e sono sempre di meno in verità, un nuovo film animato firmato dallo studio di Totoro. Tanto più che quest’anno, a parte lo stratosferico successo del film del franchise di Demon Slayer, ben poco di interessante dal punto di vista animato è passato nelle sale.
Earwig, Aya nella versione giapponese, è una ragazzina che vive in un orfanotrofio, coraggiosa e spavalda, molto amata dalla direttrice con cui ha una relazione speciale. Un giorno però viene adottata da una strana coppia di coniugi che la portano a casa loro, dove scopre, senza sorprendersi troppo però, che i due praticano la magia. Ciò che aveva spaventato gli appassionati al momento dell’uscita del trailer – la resa in Cgi terreno quasi inesplorato per lo Studio – alla fine si rivela uno dei punti di forza di un lavoro che, anche a voler essere ottimisti, lascia abbastanza perplessi. Miyazaki figlio, nel tentare nuove strade, sia tecniche che narrative e provando giustamente a distaccarsi dal «Ghibli touch» correndo anche dei rischi, è stato coraggioso e ha fatto teoricamente la scelta giusta. La serie Ronya, la figlia del brigante lasciava molto a desiderare dal punto di vista grafico, ma una storia più che interessante e lo stile con cui le vicende venivano narrate riuscivano a sopperire alla mancanza di fluidità delle immagini.

IN «EARWIG E LA STREGA» si riscontra il problema opposto: l’aspetto visivo, soprattutto l’uso dei colori – che nel debutto di Goro Miyazaki I racconti di Terramare era forse l’elemento più riuscito – è decisamente buono. Ciò che manca in questo lavoro è quasi tutto il resto: i personaggi sono piuttosto sciatti e privi di spessore e la storia gira quasi a vuoto interrompendosi bruscamente in un finale che lascia attoniti. In questo senso Earwig e la strega sembra più un pilot per una serie a venire che un lungometraggio fatto e finito, e probabilmente avrebbe funzionato molto di più se i personaggi e la storia fossero stati sviluppati in maniera più completa in una decina di episodi.