Cosa, dopo Vilnius? Il vertice tenutosi giovedì e venerdì nella capitale lituana ha dimostrato che la strategia europea per agguantare una più stretta cooperazione con i sei paesi dell’area ex sovietica che aderiscono alla Eastern Partnership (Bielorussia, Armenia, Azerbaigian, Moldova, Georgia e Ucraina) non è vincente. Gli incentivi economici e commerciali squadernati da Bruxelles, pur se vantaggiosi, si sono rivelati inadatti a portare i paesi in questione a convergere, senza indugi, sull’opzione europeista. C’è la resistenza forte della Russia. Come c’è la necessità, da parte delle stesse ex repubbliche sovietiche, di evitare lo strappo e mantenere rapporti equilibrati con Mosca.

Georgia e Moldova sono stati gli unici paesi del sestetto a firmare le intese. Ma un conto è siglarle, un altro implementarle. Tbilisi, oltre a non convincere pienamente Bruxelles, vista la lista di indagini e arresti eccellenti scattati nell’ultimo anno nei confronti di esponenti del precedente governo, quello guidato dall’ex presidente Mikhail Saakashvili, deve fronteggiare il rinnovato slancio russo, sotto forma di assistenza economica e militare, verso l’Abkhazia e l’Ossezia del sud. Sono le due province ribelli della Georgia. Il Cremlino le controlla. Quanto alla Moldova, va verificata la situazione politica interna. Nei mesi scorsi la coalizione europeista salita al potere nel 2009 è stata a un passo dal collasso a causa di una crisi politica, condita da risvolti giudiziari.

Il nodo più intricato è tuttavia quello dell’Ucraina, il paese che a livello strategico vanta, nello spazio ex sovietico, la rilevanza maggiore. Il no di Viktor Yanukovich alle intese con l’Ue ha spostato di nuovo il baricentro di Kiev verso la Russia, facendo fallire l’appuntamento di Vilnius. Ma la partita è tutt’altro che conclusa.

Mosca può dirsi soddisfatta dalla mancata firma degli accordi Bruxelles-Kiev, che la mette al riparo da svantaggiose ripercussioni economiche e le dà inoltre modo di cercare di riconquistare l’Ucraina alla causa dell’Unione eurasiatica, il progetto “comunitario” – finora ha la sola forma di una federazione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan (l’Armenia dovrebbe associarsi nel 2014) – che Putin ha in mente per sé e i suoi vicini. Il Cremlino dovrà però rimodulare la tattica di corteggiamento. Yanukovich ha infatti dimostrato, giocando spregiudicatamente su due fronti, che l’Ucraina non aderirà mai da una posizione subalterna e che eventualmente può sempre (ri)cercare la sponda europea.

La lezione che trae l’Europa da Vilnius è duplice. Primo: la Russia non intende mollare la presa sull’Ucraina. Kiev, pur sta perdendo una parte del suo ruolo di cerniera energetica tra Russia e Ue (presto il gas russo arriverà in Europa dal fondale del Baltico e dai Balcani), rimane per Putin un tassello strategico. Se prende la via dell’Europa può cadere tutta l’impalcatura dell’Unione eurasiatica. Secondo: Yanukovich non è disposto, quanto meno non alle condizioni discusse in quest’ultimo periodo (espatrio e cure mediche in Germania), a scarcerare Yulia Tymoshenko, cosa che Bruxelles aveva richiesto formalmente. Insomma, serve un altro copione. Quello della Eastern Partnership non ha la forza attrattiva che si pensava.

Volendo tagliare corto: sia la Russia che l’Ue devono rilanciare. Yanukovich aspetta di vedere le rispettive puntate.

La partita ucraina ha anche, ovviamente, una dimensione domestica. La scelta di non firmare gli accordi con l’Ue ha esposto Yanukovich alle proteste popolari. Dopo la grande dimostrazione del 21 novembre (100mila persone in piazza), a Kiev s’è continuato a manifestare. Ieri la polizia ha caricato.

La piazza è bifronte. Da un lato ci sono i giovani. Gente che s’affaccia per la prima volta alla politica, ma lo fa con piglio antipolitico. Detesta Yanukovich e auspica una prospettiva europea, ma non ha una grossa stima dei partiti dell’opposizione e non crede che Yulia Tymoshenko sia una santa. L’altro segmento è quello delle forze parlamentari dell’opposizione. Pregustano la spallata e chiedono nuove elezioni. Dopo il pestaggio di ieri, inoltre, è stata lanciata la proposta di convocare lo sciopero generale.

Yanukovich sa che, dovessero queste due componenti saldarsi, potrebbe vacillare. C’è dunque da credere che cercherà di perseguire la tattica del divide et impera.

Al momento, in ogni caso, non deve faticare troppo. Sono gli stessi dimostranti che non riescono a trovare una chimica. Come registrava il sito di Radio Free Europe, la piazza ha restituito persino a livello visivo che tra gli antipolitici e i politici, a loro volta divisi tra i sostenitori della Tymoshenko e i nazionalisti duri e puri di Svoboda, non c’è dialogo: gli uni schiacciati su un lato della spianata, gli altri dalla parte opposta.