Chetumal, nel sud dei Caraibi messicani, è la periferica capitale dello stato di Quintana Roo. A sud confina con il Belize e 300 km più a nord si trova Cancún, paradiso del turismo mondiale che dal 9 novembre di quest’anno è salita agli onori delle cronache internazionali a causa della repressione poliziesca. Lo stato ha risposto mettendo sotto accusa 11 agenti e sollevando dall’incarico il capo della polizia municipale.

A Chetumal il 16 novembre, 26 collettivi femministi di tutta la regione riuniti nella “Red Feminista Quintarroense” hanno presentato un’istanza articolata in 54 punti e 10 proposte di legge allo scopo di creare un’agenda legislativa, femminista e con autentica prospettiva di genere. Una delle proposte viene inoltrata per la sesta volta in tre anni e riguarda la depenalizzazione dell’aborto.

L’ABORTO ILLEGALE criminalizza le donne che vogliono esercitare i loro diritti umani e spesso gli interventi clandestini causano la morte delle pazienti. Un governo che criminalizza l’aborto viene quindi considerato direttamente responsabile di quelle morti.

In Quintana Roo una donna che sceglie di interrompere la gravidanza e chi l’aiuta rischiano dai 6 mesi ai 2 anni di carcere dato che il codice penale di questo stato definisce l’aborto come «morte del prodotto del concepimento in qualsiasi momento della gravidanza intra-uterina».

CHI SE LO PUÒ PERMETTERE ovviamente viaggia fino a Città del Messico per praticare l’interruzione volontaria della gravidanza legalmente. Per tutte le altre, come le donne della zona maya e le migranti del Centro America che spesso parlano solo una lingua indigena, rimane l’opzione illegale con tutti i suoi rischi. «Il fatto che nello stesso Paese alcune donne siano criminalizzate e altre no, che solo alcune abbiano un diritto, è discriminazione», mi dice Tania Ramirez, rappresentante e portavoce dei collettivi che incontro fuori del Congresso dello Stato, occupato dallo scorso 27 novembre. «Inoltre l’accusa con cui vengono condannate le donne, anche le bambine, è omicidio».

«Il 25 novembre – prosegue l’attivista -, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, avevamo in programma di installarci fuori del Congresso dello Stato e il 28 di installare anche la nostra “anti-monumenta”. I primi giorni ci hanno permesso di usare il bagno del Congresso, una a una e accompagnate dalle guardie private. Numerose compagne si sono sentite intimidite e molte sentivano fischi e commenti volgari» afferma la portavoce. «Il 27 le guardie ci hanno comunicato che avrebbero chiuso l’edificio nel fine settimana; volevano lasciarci senza bagni, coi bambini e sotto la pioggia. “Non esiste! Non rimarremo fuori! Entriamo!”».

Così ricorda quei momenti Tania Ramirez. Immediatamente dopo essere entrate, è stat lei a chiamare il CNDH (l’organo che in Messico si occupa di vigilare sui diritti umani) per far inviare degli osservatori sul posto ed evitare così una rappresaglia violenta da parte della polizia.

 

L'”anti-monumenta” installata di fronte al Congresso dello Stato dai collettivi femministi

 

 

IL 23 DICEMBRE qualcuno ha staccato l’elettricità e l’acqua al palazzo, sperando che le ragazze desistessero, ma questo non le ha fermate. «L’occupazione durerà fino a quando il Governo ci prenderà sul serio prosegue la portavoce del collettivo -. Vogliamo una data esatta per portare in aula le nostre proposte e vogliamo che i deputati si esprimano sulla depenalizzazione dell’aborto. Non importa se in maniera positiva o negativa,sarà la storia a giudicare la loro decisione Vogliamo inoltre che sia riconosciuto il nostro lavoro in difesa dei diritti umani e che sia garantita la nostra sicurezza».

Ad oggi la data non è ancora stata comunicata dalle autorità e il 12 gennaio il governatore si è lamentato di dover presiedere la cerimonia per i 47 anni della Costituzione dello stato in un centro conferenze.

Oltre alla depenalizzazione dell’aborto, nel documento consegnato dai collettivi si chiede un’educazione sessuale di qualità e laica, l’accesso libero ed efficace a contraccettivi con sovvenzione statale e una riforma al delitto di femminicidio affinché siano inseriti i reati di trans-femminicidio e femminicidio infantile. In Quintana Roo solo nel 2020 ci sono stati 4 casi, tra cui una bambina di un anno e 7 mesi.
«Chiediamo inoltre che sia permesso alle donne di portare armi non letali per difesa personale. Se il governo non riesce a proteggerci ce ne occupiamo noi con l’autodifesa!», prosegue Ramirez. Da parte sua, il governo con tutta evidenza non riesce a garantire la sicurezza: dal 2017 è stato dichiarato l’«allarme di genere» e malgrado sia stato istituito il delitto di femminicidio, nel 2020 sono state uccise 64 donne, ma solo 12 sono stati classificati come femminicidi.

 

Nel Congresso dello Stato del Quintana Roo occupato

 

ALLA VIOLENZA DI GENERE che dilaga in tutto il Paese si aggiunge la violenza ideologica. L’ 8 dicembre qualcuno ha lanciato due bombe molotov nella casa di una delle ragazze che partecipa all’occupazione, mentre stava dando da mangiare ai suoi figli e al padre anziano. Quello stesso giorno era stato organizzato un corteo “Pro Vita” dal vescovo Pedro Pablo Elizondo Cárdenas e il frate Ricardo Alberto Roque Figueroa, insieme al Fronte Nazionale Pro Vita. «Abbiamo denunciato il fatto ad Asuntos Religiosos, la chiesa non dovrebbe chiamare ed aizzare i fedeli contro altri gruppi di cittadini e ancor meno mettersi in politica, il nostro è uno stato laico. Anche la compagna vittima dell’aggressione ha sporto denuncia. Per noi è molto chiaro quali gruppi si stanno organizzando, per avvisarci e provocarci, ma non cadremo nella loro trappola. Non ce ne staremo zitte – conclude Ramirez – e non gli daremo mai più la comodità del nostro silenzio».

PRIMA DI RIENTRARE per partecipare a uno dei numerosi workshop organizzati all’interno de La Congresa, la portavoce mi ricorda che anche i deputati hanno riconosciuto la fondatezza delle loro petizioni, «però c’è sempre qualcosa di più importante che legislare a favore delle donne». Forse l’occupazione del Congresso dello Stato potrebbe essere una forma per ricordare ai deputati l’urgenza del tema.