È vero, chi si muove in bici è pericoloso
Ciclostile Un video sulla sicurezza stradale dei ciclisti (spacciato da Federciclismo e polizia stradale) fa infuriare tutte le associazioni di categoria e le persone che quotidianamente usano la bici come mezzo di trasporto
Ciclostile Un video sulla sicurezza stradale dei ciclisti (spacciato da Federciclismo e polizia stradale) fa infuriare tutte le associazioni di categoria e le persone che quotidianamente usano la bici come mezzo di trasporto
Non passate subito alle conclusioni, perché saranno l’opposto delle parole che sentite in giro.
La settimana scorso sono saltate all’evidenza di chi si batte per la mobilità ciclistica almeno tre episodi che qui voglio mettere in connessione.
Il primo: il 14 febbraio, in una conferenza stampa nella sede romana del Coni viene presentato il trailer di una campagna sulla sicurezza stradale rivolto ai ciclisti. A confezionarlo sono la Fondazione Ania (le imprese assicuratrici), la Federazione del ciclismo, la polizia stradale e il ministero delle Infrastrutture. Il video è infarcito di luoghi comuni, di tentativi di far passare come cosa fatta l’obbligatorietà del casco e soprattutto che sia la panacea nel caso di scontri con automobili, giubbini o bretelle riflettenti, addirittura errori sullo stesso Codice della strada, che di suo già è abbastanza indifferente alla sicurezza di chi si sposta in bici: viene presentato come vietato, per esempio, attraversare in sella sulle zebre o viaggiare affiancati in due, divieti più appartenenti al mondo della fantasia che al codice.
Il video fa reagire 7 realtà della mobilità dolce, da Salvaiciclisti a Fiab, Vivinstrada, Fondazione Guccione, Bikeitalia. Parte una diffida ai promotori del video; magari lascia anche il tempo che trova, figurarsi, ma l’insulto è percepito come pesante: addossare alle vittime della motorizzazione la colpa di essere travolti. E’ un meccanismo simile al bieco mormorare, in caso di violenza sessuale, che la donna in questione se l’è cercata perché era vestita così o cosà. Robaccia, insomma, ma direttamente da istituzioni e organizzazioni di peso. La strana coppia Federciclismo-polizia stradale, peraltro, va avanti su questa falsariga da qualche tempo, forse complice un maldestro tentativo della federazione di farsi spazio nell’utenza non sportiva, ma fallendo clamorosamente strategia.
Secondo episodio: la Bmw lancia nella mattinata di venerdì uno spot social su uno dei suoi mezzi: lo slogan è “Le regole? Non fanno per voi”, e mostra in due foto l’automobile parcheggiata sulle strisce pedonali e in mezzo alla carreggiata. Altra rivolta e segnalazione via i soliti social, e almeno stavolta lo spot viene rimosso (però di domenica) con tanto di scuse della casa automobilistica tedesca. Non è peraltro l’unico episodio di un advertising che inneggia al “fatecomevepare” perché il grosso ha diritti superiori a quelli dell’esile.
Il terzo episodio, sabato, non riguarda direttamente la ciclabilità ma lo metto in connessione con quei temi perché è illuminante. Si tratta di una ricerca della Cgia di Mestre che svela quale sia il gettito fiscale del settore automotive: di gran lunga il primo contribuente italiano, con 73 miliardi. Per esempio, un altro grosso protagonista della fiscalità italiana, il settore immobiliare, fornisce 40 miliardi all’erario. Un distacco impressionante.
Ecco perché chi si sposta in bici è pericoloso per il sistema italiano e non solo non deve essere ascoltato nelle sue istanze ma persino combattuto, limitato, recintato, in definitiva sottomesso: se il commuting in bici crescesse diminuirebbe il gettito; se il ciclista diventasse il modello addio alla gloriosa retorica futurista della potenza meccanica sempre maggiore, in definitiva della prevaricazione stradale su cui puntano sempre più spesso le pubblicità automobilistiche, ormai senza argomenti visto lo stato di totale intasamento delle nostre strade e la palese illogicità dello spostamento personale in automobile.
Sì, siamo pericolosi: per quelli davvero pericolosi.
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