Nel corso dell’estate i governi europei avevano previsto l’inizio degli effetti sulla Russia delle sanzioni che l’Unione ha sostenuto anche a costo di pesanti ripercussioni sul piano economico. Ma alla fine di luglio la Banca centrale registra ancora dati record nel rapporto fra import ed export, e le forze armate sembrano sul punto di allargare il loro raggio di azione in Ucraina.

«ADESSO i nostri obiettivi non riguardano soltanto il Donbass», ha detto a Mosca il ministro degli esteri, Sergei Lavrov. Secondo il quale la Russia non può permettere la presenza «nella parte del paese che sarà sotto il controllo di Volodymyr Zelensky, o di chi lo sostituirà», di armi in grado di colpire le due repubbliche di Donetsk e di Lugansk, e, potenzialmente il territorio russo.

Lavrov non ha fatto riferimenti espliciti, ma parlava dei sistemi missilistici M142, conosciuti anche come Himars. Le prime batterie sono arrivate dagli Stati Uniti alla fine di giugno e da allora gli ucraini sono riusciti a distruggere una decina di depositi di armi dietro le linee dei russi. Altre quattro arriveranno nel paese nei prossimi giorni. «Le nostre armi stanno facendo la differenza”, ha detto il segretario alla difesa americano, Lloyd Austin.

L’IMPATTO sulle operazioni nel Donbass è stato significativo. I russi cercheranno adesso di interrompere la catena logistica con cui l’esercito ucraino trasporta gli Himars al fronte. Strade, ferrovie, organismi di comando e controllo, depositi a ridosso di centri abitanti. Il rischio di vittime civili pare, quindi, destinato a salire.

NEL SUO DISCORSO Lavrov ha citato fra gli obiettivi due importanti città, Kherson e Zaporizha, entrambe strategiche per ragioni diverse. La prima garantisce l’accesso al Canale Nord, e quindi al flusso delle acque deviate dal Dnepr alla Crimea. Nella seconda si trova il più potente impianto nucleare d’Europa. I piani dei russi vanno ben oltre la difesa militare. Da settimane hanno cominciato a distribuire ai civili passaporti. È una strategia già usata a partire dagli anni Novanta in Transnistria, in Ossezia del Sud e in Abkhazia, territori che sono sotto la stretta influenza del Cremlino. Le parole del ministro degli Esteri seguono, insomma, i contorni di un nuovo soggetto politico che i russi sono decisi a costruire dentro l’Ucraina.

LA RISPOSTA da Kiev è stata dura. «La nostra artiglieria insegnerà a Lavrov la geografia», ha detto uno dei consiglieri del presidente Zelensky, Mikhailo Podolyak. Le armi sembrano in effetti l’ultima speranza del suo governo di fronte a divisioni negli stessi ranghi degli apparati di sicurezza, che nel corso dei mesi diventeranno sempre più evidenti anche nella società ucraina.

IL NUOVO SOGGETTO politico di cui Lavrov discute ha una base politica che Vladimir Putin è tornato a contemplare ieri. «Siamo in una nuova fase storica che sarà dominata dai paesi veramente sovrani», ha detto il capo del Cremlino al termine del vertice a Teheran con il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e il leader turco, Receep Tayyp Erdogan.

PUTIN A TEHERAN si aspettava probabilmente di chiudere un’intesa all’altezza della sua visione. Le cose a quanto sembra non sono andate secondo i piani. Anzi. Prima Erdogan l’ha lasciato davanti ai fotografi ad aspettare per cinquanta secondi una stretta di mano, e poi gli ha fatto sapere che l’esercito turco è pronto a una nuova offensiva sul nord della Siria, nel giorno in cui il governo di Damasco ha interrotto ufficialmente i rapporti con l’Ucraina soltanto per conservare la protezione dei russi. I due dossier, quello siriano e quello ucraino, a Teheran si sono evidentemente incrociati. Non è detto che per Putin sia una buona notizia.