Era il 10 giugno di ottant’anni fa quando sul mensile “Action Comics” apparve la prima storia di Superman, il primo supereroe dell’era moderna, l’uomo d’acciaio, il protagonista insieme di una rinascita e di un rilancio del ruolo dei fumetti nell’era della cultura di massa.

Il personaggio era già da qualche anno nella testa e nelle strisce create da due giovani e sregolati artisti, Jerry Siegel e Joe Shuster, ma è da quel momento in avanti che Superman sale sul trampolino di lancio per spiccare il volo.

L’universo dei supereroi moderni è ancora vuoto e lindo, non ci sono gli uomini ragno, i Fantastici Quattro, le Wonder Woman e chi più ne ha più ne metta. Superman ha un successo rapido, travolgente, tanto che nel giro di pochi mesi viene creata una testata apposita in cui ospitare le strisce che lo riguardano.

Per una volta però ad entrare in un libro a fumetti non sono le gesta del kryptoniano caduto come un meteorite nell’America profonda, allevato come un normale terrestre e poi costretto a fare i conti con i suoi poteri e con il suo destino.

No, stavolta i protagonisti sono i suoi creatori, in particolare il suo disegnatore, l’uomo al quale si debbono le fattezze originarie di Superman, compreso quel rivoluzionario mantello che sarebbe stato poi un requisito indispensabile per molti per molti giustizieri a venire.

Joe Shuster di Julian Voloj e Thomas Campi (Bao Publishing, pp. 168, € 21) non è solo la storia di un formidabile exploit artistico, ma anche del lungo travaglio che ne è seguito per farselo riconoscere da un’industria editoriale divenuta (anche grazie a loro due) tanto forte da potersi permettere battaglie legali e team di avvocati impensabili per due persone normali.

Shuster è figlio di due emigrati ebrei dalla Russia zarista in cui i semiti venivano perseguitati da pogrom e da infami libelli volti ad aizzare l’odio di masse ancora più sventurate di loro, come Il protocollo dei Savi anziani di Sion, sorta di progenitore e di custodia di tutti i pregiudizi e di tutte le tarlate superstizioni sugli ebrei utilizzate nel corso del XX° secolo e ancora oggi.

Nel nuovo mondo Shuster conduce assieme alla sua famiglia un’esistenza povera ma tutto sommato dignitosa. Scopre grazie al padre proiezionista il cinema e poi i fumetti di allora Bibì e Bibò, Fortunello, Barney Google, Little Nemo. Poi, appena adolescente, inizia a disegnare per conto proprio, in una sorta di apprendistato da autodidatta alla creazione grafica.

Incontra alla Glenville High School il canadese Jerry Siegel e tra i due scoppia un’amicizia incredibile basata proprio sulla comune passione per i fumetti.

Se però per Shuster la vocazione sono i disegni, per Siegel è quella di inventare personaggi e storie. Ne iniziano a sfornare uno dopo l’altro, con una sorta di frenesia e di trance agonistica proprie degli anni dell’adolescenza, quando tutto sembra possibile perché niente di tutto quello che è fuori sembra tanto forte da poter insidiare la forza e la freschezza di un corpo e di un cervello giovane. E sì che essendo nei primi anni trenta di inquietudini e di minacce ce ne sono molte nel mondo, a cominciare da quelle contro gli ebrei urlate e poi messe in pratica in Germania dai nazisti sin dal giorno dopo la nomina di Hitler a cancelliere. Siamo nel ’33, l’anno in cui, guarda caso fa la sua prima apparizione proprio Superman, una sorta di Golem in carne ossa venuto nel nuovo mondo per proteggere i deboli e gli oppressi.

Una rivincita partorita dalle antenne sensibilissime di questi due ragazzi di Cleveland contro i ritornanti (e purtroppo fondati) timori di una nuova ondata di odio, di guerre, di razzismo? Forse sarebbe il caso di iniziare a studiare anche i fumetti in rapporto all’epoca in cui cui sono stati partoriti e poi seguirli nella loro evoluzione, si potrebbero avere molte sorprese interessanti e se ne potrebbero dedurre molte stimolanti riflessioni oltre ad aprire un po’ i nostri sempre più asfittici e specialistici settori di “competenza”.

Ma questo è davvero un altro discorso.

Tornando al successo immediato di Superman nelle edicole, sicuramente sorprende tutti, compresi Shuster e Siegel, i quali accettano di firmare un contratto in cui cedono, in cambio di una cifra irrisoria, la proprietà intellettuale del personaggio alla DC.

I due restano in quanto fondamentali creatori di storie. Sul momento non si accorgono dell’errore che hanno fatto anche perché i soldi che piovono sulle loro teste sono comunque molti. Ma passati gli anni, consolidato grazie a loro l’universo poetico di riferimento di Superman, i due, a causa di attriti sempre più frequenti con l’editore, vengono liquidati.

Iniziano così una lunga e sfinente battaglia legale per riacquistare il riconoscimento (sia economico che simbolico) della primogenitura del personaggio. Quando inizia questo libro siamo nel 1975 e Shuster è un uomo distrutto, caduto completamente in disgrazia economica, praticamente cieco.

Da qui, complice un avventore che lo riconosce come il disegnatore di Superman, inizia il racconto di come davvero andò la storia della sua creazione.

Un racconto scritto con misura ed empatia da Voloj e disegnato magnificamente da Thomas Campi con una tecnica che avvicina ogni finestra ad un piccolo quadro ad acquerelli inondato di colori.

Joe Shuster ci trasporta dunque praticamente lungo tutto il XX° secolo, fino alla fine degli anni settanta, quando si sta preparando il primo film su Superman, con un cast gigantesco in cui figurano Marlon Brando e Gene Hackman e la Warner Bros, divenuta proprietaria della DC, decide, anche per evitare una disastrosa campagna pubblicitaria a rovescio in occasione del lancio del film, di risolvere la questione e di avviare i contatti con i due anziani artisti per addivenire a una soluzione dell’intrigo.

E per i fumetti di un ruolo sempre più importante nella cultura popolare, cinema compreso.