E’ tutto nero. It’s All Black. Prima ancora che le luci si spengano sul Twickenham, “The Home of English Rugby” è già avvolta di nero. Per la seconda volta di seguito, la terza nella sua storia, la Nuova Zelanda è campione del mondo. Ha sconfitto l’Australia 34-17 (16-3 al riposo) e si porta a casa un’altra volta la William Webb Ellis Cup.

E’ un trionfo che richiama la storia degli Invincibles, la nazionale neozelandese che nel 1924 e nel 1925, in un’epoca lontana come non mai, andò in tour nelle Isole Britanniche, giocò e vinse contro tutti: 32 match, 32 vittorie. Quella era la squadra di Cliff Porter, di George Nepia, dei fratelli Brownlie. Leggende.

Novant’anni dopo, nell’era del professionismo, c’è questa squadra che da quattro anni mette sotto tutti gli avversari, che si è presentata in Inghilterra con solo 3 sconfitte in quattro anni, e che nessuno sa come fermare.

Ci hanno provato gli Springboks, in semifinale, e oggi ci ha provato l’Australia, inutilmente. Per quanto combattuta, la pur splendida finale non ha avuto storia.

Dan Carter, il Sublime, il più grande mediano di apertura nella storia degli All Blacks, ha lasciato il suo segno sul match: 19 punti con sei piazzati e un drop da distanza incredibile. Richie McCaw, il capitano dall’energia inesauribile, ha placcato e rubato palloni, infuso fiducia e amministrato con sapienza la sua leadership. Brodie Retallick, il seconda linea dalla faccia feroce, ha sradicato avversari e sospinto la mischia. Ma’a Nonu, il demoniaco centro di origine samoana dalla capigliatura rasta, ha fatto male ogni volta che è partito a testa bassa, provocando profonde ferite nella difesa dei Wallabies. E poi tutti gli altri, da Nehe Milner-Skudder, l’ala maori dalla serpentina imprevedibile, a Sam Whitelock, Kieran Read, i tre Smith – il mediano di mischia Aaron, il centro Conrad e l’estremo Ben -, e tutto il granitico pacchetto di mischia. Tutti, nessuno escluso: i più forti sono loro.

Una meta di Ma’a Nonu - foto PA
Una meta di Ma’a Nonu – foto PA

[do action=”citazione”]L’Australia non ha avuto scampo.[/do]

Per tutto il primo tempo ha subito. Non è mai riuscita a gestire il pallone, non ha praticamente messo piede nell’area dei 22 metri, ha sofferto anche nella sua fase di gioco preferita, il punto di incontro.

Ma il ritmo degli All Blacks, era insostenibile, la loro determinazione e la ferocia agonistica assolute. Giungere quasi allo scadere del primo tempo con soli 6 punti di svantaggio (9-3) è stato un mezzo miracolo, anche perché nel frattempo erano usciti Douglas e Giteau, entrambi infortunati.

La partita era dura, gli impatti devastanti. Poi è arrivata la prima meta neozelandese, con una splendida azione e con l’ovale che passava dalle mani di Aaron Smith, poi di McCaw e infine giungeva a Milner-Skudder che schiacciava. Carter trasformava e si andava al riposo sul 16-3.

La ripresa si apriva con gli All Blacks di nuovo in meta dopo due minuti, questa volta con Ma’a Nonu che spaccava la difesa dei Wallabies e finalizzava un bel passaggio di Sonny Bill Williams. Poi però i tuttineri si complicavano la vita: Ben Smith beccava un giallo per un placcaggio pericoloso e lasciava per dieci minuti la squadra con un uomo in meno. In quell’intervallo di tempo l’Australia si riportava sotto, subito con una meta di David Pocock e poi con Tevita Kuridrani. La trasformazione di Foley portava gli aussies sul 21-17, a soli quattro punti dagli avversari.

Il giallo a Ben Smith - foto PA
Il giallo a Ben Smith – foto PA

 

Tra il pubblico del Twickenham si respirava tensione, sembrava che il match potesse cambiare direzione. E qui entrava in scena il Sublime: al 70’ Dan Carter raccoglieva un passaggio e da quaranta metri, con addosso la pressione delle guardie australiane, osava un drop da cineteca: 24-17.

I Wallabies, lanciati all’arrembaggio, barcollavano. Ci riprovavano ma con le idee confuse, con pessime scelte di gioco, anche perché la difesa degli All Blacks era impenetrabile: impossibile avanzare, guadagnare terreno. E a un minuto dalla fine era Bauden Barrett a filare da solo, inseguendo un calcio di liberazione della sua difesa, allungando la traiettoria con un ginocchio e andando poi a schiacciare tra i pali. 34-17.

Sipario, e ancora haka, dopo la consegna del trofeo.

Appuntamento in Giappone, tra quattro anni.

Pocock McCaw