«Pelé si è definito il Beethoven del calcio. Che noia. Io sono il Keith Richards, il Ron Wood, il Bono del calcio messi insieme. Su un campo di calcio non si è mai ascoltato Beethoven».
Maradona non è mai stato attento con le parole. Anzi, si è sempre sentito libero di dire quello che gli pareva, anche attaccando i poteri più alti, forti (e corrotti) del calcio. È rimasto il ragazzo del barrio, incurante delle buone maniere e di ogni compromesso, figlio di un calcio che non c’è più, ormai incapsulato nella retorica dell’atleta perfetto e immacolato, come un figurante della Playstation. Ha preso d’assalto il cielo, in un estremo slancio utopistico che ha animato il ’900, è stato sconfitto ma non si è mai arreso. L’arte, lo spettacolo, la musica hanno sempre esitato a celebrarlo. Troppo scomodo, contraddittorio, non di rado sgradevole, prepotente, palesemente antipatico.
In pochi si sono sporcati le mani con lui. Lo fecero i Queen nel 1981 a Buenos Aires quando, in tour in Argentina, ospitarono Diego, giovanissimo ma già idolo per il pubblico, sul palco durante il bis, davanti a una folla in delirio. Dopo il concerto si ritrovarono nei camerini. Freddie Mercury e Maradona si scambiarono, come rituale, le magliette. Per il Pibe quella con la bandiera inglese, per il cantante quella della nazionale argentina. Un biografo di Mercury sottolinea come il cantante non fosse molto ferrato e appassionato di calcio e quindi non sapesse bene cosa rappresentasse Maradona in Argentina.
Le foto scattate in quell’occasione hanno assunto anche una valenza iconica in quanto solo un anno dopo scoppiò la guerra tra Gran Bretagna e Argentina per il possesso delle isole Falklands, causando migliaia di morti e i rapporti tra i due paesi furono ovviamente a lungo interrotti.

GOL DEL SECOLO
Fu Diego a vendicare la sconfitta argentina con il famoso «gol del secolo», quattro anni dopo nel quarto di finale con i britannici, alla Coppa del Mondo messicana, aggiungendone un altro con la mano. Anche con un’altra band inglese, gli Oasis, si ritrovò qualche tempo dopo, nel 1998. I fratelli Gallagher, hooligans del Manchester City, in tour in Argentina con il gruppo, si ritrovarono in un locale esclusivo di Buenos Aires in cui il giocatore stava festeggiando in buona compagnia, riuscendo ad avere accesso alle stanze in cui era in corso il party.

Maradona con gli Oasis, Noel (a sinistra) e Liam Gallagher

Maradona stava palleggiando con un tappo di bottiglia di champagne che, assieme ad altre sostanze, allietava la serata del suo entourage e di un largo stuolo di donne. Finiti i convenevoli, i buttafuori li invitarono ad uscire con una raccomandazione gentile: «Se uscite con una di queste ragazze (Diego) vi fa sparare». Alla notizia della morte Liam lo ha così omaggiato su Twitter: «Un vero calciatore rock’n’roll nessun cazzone potrà mai eguagliarlo».
Più pacifico e rispettoso il rapporto con Manu Chao, con cui ha condiviso gli stessi indirizzi ideologici. Il cantautore francese è sempre stato un grande fan di Maradona tanto da dedicargli, simbolo del calcio e del mondo ultras, il brano Santa Maradona con i suoi Mano Negra e apparire (nel docu-film Maradona di Kusturica) in una strada di Buenos Aires al cospetto del calciatore, quasi commosso, suonando la stupenda La vida es una tombola mentre canta, «Se io fossi Maradona, vivrei come lui perché il mondo è come un pallone che vive in superficie». Il segno che ha lasciato in Italia è stato indimenticabile. L’omaggio più struggente e sincero è sicuramente Tango della buena suerte del tifoso del Napoli e amico, Pino Daniele, incluso in Passi d’autore, il disco del 2004: «Lui è un mago con il pallone/ Io l’ho visto alzarsi da terra e tirare in porta/soffia il vento d’Argentina davanti agli occhi spalancati e pieni di grande speranza/e al momento giusto suona il tango per magia/Lui è l’uomo giusto che ci può far vincere/tango della buena suerte». Sottolineando amaramente che: «Ma la partita più importante è da giocare con la vita».

Maradona con Manu Chao

OGNI TOCCO
Nel 1997 Enrico Ruggeri dedica il brano Il fantasista agli sregolati del calcio, a quelli che trattano il pallone come fosse un’opera d’arte e tale fanno diventare ogni loro tocco. Tra i destinatari l’amato Evaristo Beccalossi (che tradisce la fede interista del cantautore), Gigi Meroni, George Best ma soprattutto Maradona a cui certe strofe si addicono alla perfezione: «Datemi il pallone, non parlate, poi correte ad abbracciarmi/Io sono l’ultimo egoista/Perché sono un fantasista, faccio quello che vorreste fare voi».
Più controverso l’omaggio di Francesco Baccini che in Diego Armando Maradona usa un doppio senso discutibile con quel «tira Diego, tira» che fa da chiaro riferimento alle sue note abitudini tossiche, concludendo con un semi assolutorio: «Non è peccato/Per te non lo sarà mai / Tutti tirano lo sai… Politici portieri cantautori finanzieri casalinghe (quelle bevono…)». Nel disco Donne & colori del 2000 gli Stadio parlano di Diego in Doma il mare doma, con testo di Roberto Roversi, poeta e scrittore, a lungo sodale di Lucio Dalla. La qualità della scrittura è prevedibilmente di grande livello, con un finale disarmante nella sua schiettezza: «Era mezz’ala tornante nel campionato argentino col dieci sopra la schiena/tre anni interi di Spagna poi toro dentro l’arena/con una storia un po’ strana per l’avventura italiana… È cominciata nel sole poi è finita nel vino».
Ci sono molti altri nomi che negli anni hanno scritto di Maradona o vi hanno fatto riferimento in alcuni brani, da Omar Pedrini a Salmo, dal blues implacabile di È asciuto pazzo ’o padrone di Joe Sarnataro (Edoardo Bennato) alla divertente Maradona no di Luca Sepe; da Diego Armando Maradona della Dark Polo Gang a Ti volevo dedicare di Rocco Hunt ft. J-AX e ‘O reggae ’e Maradona di Jovine; e ancora classici da stadio come Oh mamà mamà mamà ho visto Maradona del coro dei tifosi Napoli, Hay que alentar a marado degli Ultras del Boca Juniors, Maradona è meglio ‘e Pelé (Enzo Romano) o ’O surdato ’nnammurato (Massimo Ranieri) dedicata a Maradona dai tifosi napoletani e più volte da lui cantata. E così fino a Thegiornalisti, Canova e al progetto Fútbol (da cui anche l’omonimo album) di Peppe Servillo (Avion Travel), Javier Girotto (Aires Tango) e Natalio Mangalavite. E si potrebbe continuare ricordando i pezzi usciti in Argentina, tra cui Maradó dei Los Piojos.

Maradona con Pelé

Una menzione speciale a Touched by the Hand of God, il singolo dei New Order dell’87, il cui titolo (non il testo) si ispirava allo storico gol di mano del Pibe e per la cui uscita furono distribuiti dall’etichetta Factory palloni promozionali. Diego è stato sempre amante della musica e del ballo (l’ultimo bollettino medico prima delle dimissioni dopo l’operazione alla testa parlavano di un Maradona in grande ripresa, tanto da improvvisare alcuni passi di danza in ospedale). Lo ritroviamo, ad esempio, in veste di cantante, in una trasmissione tv, qualche anno fa, vestito di tutto punto, mentre riprende un classico della canzone tradizionale argentina, un tango del 1943 di Juan Puey, che parla di grande stelle del calcio nazionale dell’epoca. Ma nella sua personale versione di El sueno del pibe, cantata benissimo, dal vivo, con grande intonazione e capacità interpretativa, inserisce però, tra i giocatori citati, anche il suo nome. In Maradona (2007) lo struggente e amaro film documentario del regista Emir Kusturica, Diego si racconta in modo spontaneo, sincero, a tal punto da apparire talvolta disarmante («Pensa che calciatore sarei potuto essere se non avessi mai usato la cocaina»). Un ritratto spietato, autentico. Con lui minato dai vizi, poco lucido e verso il declino che conosciamo.

STRAZIANTE
Nelle immagini canta un brano a lui dedicato, La mano de Dios, agiografico, dal ritmo pulsante, rock, con un coro perfetto per uno stadio, composto da Rodrigo Bueno, e la scena diventa straziante. Il calciatore ha gli occhi chiusi, allarga le braccia, si compiace di sé stesso e del contesto (amici, moglie e figlia che cantano con lui) ma mostra una drammatica maschera di sofferenza, tristezza, malinconia: «Maradò, Maradò/Il suo sogno aveva una stella/Pieno di obiettivi e grandezza/E tutta la città cantava Maradò, Maradò/La mano di Dio è nata/Maradò, Maradò/È stata la gioia della gente/Ha innaffiato questa terra di gloria». Maradona è stato una figura tragica, devastante. I detrattori in questi giorni hanno vita facile a distruggerne il ricordo. Noi ci accontentiamo di rivivere la sua Arte Calcistica, ad assaporare quei fatidici, inutili, superficiali 90 minuti che, come cantava Gil Scott-Heron a proposito della musica di Lady Day (Bille Holiday) e John Coltrane, spazzano via i tuoi guai.