Lasciare? Macché, Beppe Grillo non ci pensa neppure. Quelle sono cose che si dicono ai comizi ma di fare un passo indietro, come aveva promesso più volte, Beppe lo sconfitto non ci pensa nemmeno. Né lui, né il suo socio Casaleggio.

E così dopo una notte passata insonne a pensare il da farsi, e in cui la tentazione di mollare tutto ci sarebbe anche stata, alla fine il leader si decide a parlare. Lo fa con un videomessaggio – ottimo per evitare domande imbarazzanti – che fa precedere sul blog dalla celebre poesia «If» di Kipling e da una canzone di Fabrizio De Andrè («La canzone del maggio») che già fanno capire che di ammettere eventuali errori non se ne parla nemmeno. E infatti… Se il movimento ha perso quasi un terzo dei voti, dice, la colpa «è di questa Italia che è formata da generazioni di pensionati che forse non hanno voglia di cambiare, di pensare un po’ ai loro nipoti, ai loro figli ma preferiscono stare così». Ecco, la colpa è dei pensionati. E dire che aveva anche promesso di aumentargli la pensione minima e invece gli hanno voltato le spalle.

Ingrati, anzi di più: egoisti, perché non solo non pensano a lui ma non pensano neanche ai nipotini. Il leader però ci tiene a tranquillizzare il suo popolo. Certo, la batosta c’è stata, ma «noi siamo sempre lì, siamo il primo movimento italiano, il secondo partito, faremo opposizione sempre di più e cercheremo di rallentare lo spolpamento di questo Paese». Agli attivisti Grillo dice dunque «non scoraggiatevi, noi andiamo avanti», perché «è ancora presto» per la vittoria. Poi insieme a Casaleggio si chiude negli uffici milanesi di quest’ultimo per una riunione fiume durata più di dieci ore, al termine della quale il leader esce senza fare, per una volta, neanche una battuta.

Almeno ufficialmente Grillo evita per tutto il giorno di fare un’analisi dei motivi che in poco più di un anno hanno portato il M5S a perdere per strada 2.800.000 elettori. E come sempre l’interpretazione che dà della sconfitta, «è ancora presto per vincere», viene subito adottata dal Movimento, con il senatore Nicola Morra che arriva addirittura a scomodare Mao sottolineando la necessità di «ingaggiare ora una faticosa, lenta, opera di rivoluzionamento, come la lunga marcia di Mao». Opera che sintetizza in un modo che chissà se sarebbe piaciuto al Grande Timoniere: «Pedalare, pedalare, pedalare».
Come però avviene sempre nel M5S, è a porte chiuse che si manifestano i maldipancia.

La conferenza stampa indetta da parlamentari davanti Montecitorio viene annullata, mentre per i prossimi giorni è già stata indetta un’assemblea congiunta senatori deputati per analizzare il voto, ma anche che tipo di politica portare avanti da adesso in poi, visto che gli elettori hanno dimostrato di non gradire neanche i continui attacchi a Napolitano. E il malumore sarebbe già alto. A partire proprio dal videomessaggio di ieri, che in molti ritengono inadeguato a spiegare un fallimento cominciato probabilmente mesi fa, con la scelta di Grillo e Casaleggio di radicalizzare il movimento cercando consensi tra i delusi dalla politica. L’espulsione dei dissidenti e il conseguente allontanamento degli elettori più propensi al dialogo con le altre forze politiche (evidentemente emigrati in massa verso il Pd) sarebbe servito proprio a questo, insieme alla decisione di cercare consensi nel grande bacino dell’astensione. Con una inutile inversione finale, concretizzatisi nelle apparizioni televisive alla ricerca del voto moderato. I risultati dicono chiaramente che se questi erano i calcoli, ebbene erano sbagliati. Anziché farsi attrarre da Grillo, i delusi e gli indecisi sono invece aumentati fino ad attestarsi – record storico – sopra il 41%. Segno che non basta soffiare sul fuoco per avere consensi, e che chi sceglie di non votare non lo fa solo per esprimere un rifiuto della politica, ma forse perché ne vorrebbe una migliore.

A contribuire alla sconfitta di Grillo ha contribuito infine la Lega, che ha tolto voti al M5S da destra e conseguito un successo che si deve al nuovo corso imposto al Carroccio da Matteo Salvini che non solo ha sfidato Grillo sull’antieuropeismo, ma si è preso i suoi elettori più di destra scontenti dalla politica ondivaga tenuta dal M5S sull’immigrazione.

Grillo ora porta in Europa 17 parlamentari, che non sono pochi, ma per fare cosa? Se imporrà anche a loro, come ai colleghi italiani, la politica dello «splendido isolamento», al massimo serviranno a scaldare le sedie. Ma non è detto che finirà così. Tramontato infatti il sogno di poter costituire un gruppo a sé, gli europentastellati dovranno infatti decidere con chi sedersi nell’europarlamento. Domenica scorsa, quando il flop del M5S non era ancora ufficiale, la leader del Front National Marine Le Pen – trionfatrice in Francia – ha invitato tutti gli antieuropeisti, con speciale riferimento a Grillo, a unirsi in una battaglia comune. Per ora l’invito è stato gentilmente rispedito al mittente. Staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi giorni.