Tenere buone le minoranze Pd ma anche l’Ncd. Adesso Renzi dovrà trovare la mediazione della mediazione. All’indomani della direzione sul jobs act, il «punto di equilibrio» (versione renziana) ancorché precario raggiunto con le variegate anime delle minoranze Pd (in 20 hanno votato no, in 11 si sono astenuti) fa suonare l’allarme rosso a casa Alfano. Dorina Bianchi, vicecapogruppo alla camera, esprime «grande delusione» per il «passo indietro» sull’art.18. E Maurizio Sacconi, il relatore della legge a Palazzo Madama, fin qui un entusiasta del provvedimento, avverte: gli emendamenti che il governo dovesse presentare «in ogni caso non potranno essere la mera traduzione dell’ordine del giorno del Pd. Tutte le modifiche devono essere concordate con il relatore, che sono io. E che come è noto ho le mie opinioni».

Ieri Renzi ha rialzato i decibel dalla trasmissione Ballarò (Raitre). Il sindacato va in piazza? «Quando la Cgil sarà in piazza, il 25 ottobre, noi saremo a fare la Leopolda. Ci hanno anche risolto il problema di chi fa la manifestazione contro». D’Alema lo attacca? «Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo: tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi». Quanto al trattamento di fine rapporto in busta paga, «il Tfr così com’è c’è solo in Italia, se lo diamo in busta paga ci sono problemi di liquidità per le piccole imprese, mentre le grandi ce la fanno. Stiamo pensando di dare i soldi che arrivano dalla Bce alle piccole imprese per i lavoratori».

Ma le frasi guascone, per quanto ad effetto, non coprono le difficoltà. Martedì prossimo al senato arriverà il maxiemendamento alla legge delega, riscritta sulla base delle decisioni della direzione Pd. E sull’art.18, per esempio, ci dovrà essere scritto il reintegro per licenziamento discriminatorio e disciplinare – un’aggiunta che, nelle intenzioni dei mediatori, dovrebbe piacere alla Fiom -. Ma è un’aggiunta che fa saltare i nervi all’Ncd, che si era venduto fin qui il provvedimento come la cancellazione definitiva dell’art.18.

Se Renzi ha le sue grane, anche le minoranze Pd non hanno di che stare troppo allegre. In direzione, la divisione fra astenuti e contrari è il sintomo di un fronte non proprio compatto. Che al momento però ancora regge. Ieri, dopo la riunione dei senatori dem a Palazzo Madama, i firmatari dei sette emendamenti delle minoranze si sono visti alla camera, a margine dell’ennesima votazione a vuoto per la Consulta. «Gli emendamenti restano», spiega il ’riformista’ Miguel Gotor. «Aspettiamo il nuovo testo del governo e vedremo quello che ci sarà scritto. Per noi due punti sono dirimenti: le coperture per la riforma degli ammortizzatori sociali, che abbiamo il dovere di verificare, e il disboscamento dei contratti, che nella delega è solo ’eventuale’ e invece dev’essere precisato». Quanto alla nuova formulazione dell’art.18 (cioè di quel poco che ne resta) «l’aggiunta del reintegro sul posto di lavoro per il licenziamento disciplinare è un passo avanti: per capirsi, i tre operai della Fiat di Melfi, con questa nuova formulazione tornerebbero ancora al lavoro». Ma i quaranta firmatari potrebbero diminuire se, com’è probabile, martedì prossimo alla nuova riunione del gruppo verrà chiesto il ritiro degli emendamenti? «Gol è quando palla entra in porta.Voto è quando senatore vota», scherza Gotor. Ma neanche troppo.

L’appello alla disciplina di partito è un tam tam a bassa intensità che nei prossimi giorni potrebbe intensificarsi. A Orfini («Siamo un partito, non un collettivo di anarchici»), ieri ha fatto eco il capogruppo al senato Zanda: «La linea è data dalla maggioranza e va mantenuta». Per le minoranze l’avviso è irricevibile. Replica Civati: «Giachetti vota come gli pare sulla responsabilità civile e sul lavoro io mi devo adeguare?». E Fassina: «Andiamoci piano. Nell’aprile 2013 Renzi disse che su Marini chi non voleva votarlo poteva farlo».

Ma nei prossimi giorni il pressing potrebbe intensificarsi. A meno che sul provvedimento non arrivi un voto di fiducia: a far rientrare tutti nei ranghi. O quasi: Civati e Fassina sono pronti «a andare fino in fondo». Ma sono deputati. Per ora al senato è tregua e si lavora sugli emendamenti. Spiega ancora Gotor: «Il Renzi della direzione è ben diverso da quello che in tv dice ’i giudici devono sparire’». E «l’autonomia dei gruppi parlamentari si praticherà, ma sia chiaro: fra noi non c’è alcun desiderio né interesse di nuocere al governo. Vogliamo solo migliorare la legge».

Ma la tregua è appesa a un filo. Martedì 7 l’aula di palazzo Madama comincerà a votare e l’intenzione di Renzi è di arrivare al sì già il giorno dopo. Difficile, visto il numero degli emendamenti presentati. Ma anche un po’ provocatorio per chi già deve votare turandosi il naso.